C’è chi ha lasciato il ragazzo quasi ad un passo dall’altare perché lui si vergognava della sua malattia; c’è chi non è stata assunta; c’è chi lavora perché nonostante tutto a casa ha delle bocche da sfamare. Sono alcuni frammenti di esperienze di vita raccontate dai pazienti affetti da sclerosi multipla che hanno partecipato all’incontro organizzato dall’Aism e dal dottor Marco Pasquinelli dell’UO di Neurologia dell’Infermi. Obiettivo, dar voce ai bisogni reali e ai vissuti di chi convive con questa vera e propria spada di Damocle, una malattia caratterizzata dall’imprevedibilità che incombe su chi ne è affetto. Sono circa 450 quelli che ne soffrono nel territorio di Rimini, 63mila in Italia. Condividere – questa la parola ripetuta più volte nell’arco della giornata – è la migliore medicina per superare le barriere. Perché sono le barriere, fisiche e psicologiche, che creano la disabilità.
“È molto difficile condividere questa malattia – spiega la responsabile Aism della sezione di Rimini, Milena Marchetti – spesso lo si nasconde agli amici per paura di essere esclusi, o al datore di lavoro per il rischio di essere vittima di mobbing. Quando poi insorgono le difficoltà motorie il malato si trova ad affrontare le barriere più alte: autobus sprovvisti di pedana elevatrice per carrozzine, cinema impossibili da raggiungere o ristoranti con il bagno per disabili al secondo piano senza ascensore. Rimini è piena di queste situazioni, lo stesso palazzo del Podestà non è completamente accessibile”.
Condividere e ascoltare. Il medico, costretto ad agire in tempi ristretti, talvolta tende a privilegiare l’aspetto somatico a scapito di quello psicosociale: la condizione di sofferenza del malato non si identifica solo con il dolore fisico o il suo “stato di salute”, ma è una combinazione unica di vissuti emozionali, aspettative e speranze.
“Il medico deve dare più spazio all’ascolto – interviene Pasquinelli – non si può diagnosticare ad una persona la sclerosi multipla e lasciarla da sola. Nel momento in cui comunichi questa diagnosi dici ad una persona in genere giovane, nel pieno del proprio sviluppo sociale e lavorativo, che ha una malattia cronica che potrebbe cambiare per sempre il suo stile di vita. Devi saper gestire la reazione, che è drammatica, e trovare il tempo per rispondere a tutte le domande che il paziente ti pone in quel momento, i dubbi e soprattutto le paure”.
La presa in carico di un paziente con SM coinvolge un’equipe coordinata dal neurologo e costituita da fisiatra, fisioterapista, logopedista, psicologo, infermiere, assistente sociale.
“Il rapporto con questi pazienti è molto coinvolgente, richiede disponibilità, tempo ed esperienza perché diventi un po’ il medico di riferimento non solo per quello che riguarda la patologia ma per tutta una serie di problematiche più o meno correlate con la salute, che coinvolgono tutta la famiglia”.
Una diagnosi di sclerosi multipla non è sinonimo di sedia a rotelle. Tra le testimonianze ci sono persone che hanno portato avanti con successo una gravidanza e hanno splendide famiglie, lavorano e non hanno rinunciato alle loro passioni. Non si può generalizzare, il termine multipla sta ad indicare che esistono molteplici espressioni di questa malattia. Il passo più importante il paziente lo deve fare dentro di sé, nell’accettazione della malattia.
“Ho imparato che la malattia non è la colpa di tutti i mali – racconta una paziente – c’è stato un periodo in cui le gambe non rispondevano più e andavo a gattoni, ma sono andata avanti lo stesso. E questo farcela lo stesso anche nei momenti più terribili mi spinge ad andare avanti. La malattia c’è, io le parlo e le dico che sono più forte di lei”.
Valentina Ghini
(nella foto l’immagine di una delle tante campagne di sensibilizzazione lanciate dall’Aism)