Si chiama sclerosi multipla. È una malattia degenerativa del sistema nervoso. Al mondo ne soffre oltre un milione di persone. Una patologia che purtroppo non lascia scampo. Anche se oggi i pazienti tengono il fiato sospeso nel frastuono mediatico intorno alle nuove frontiere della ricerca: esiste davvero una cura alternativa ai farmaci? Mettiamo a fuoco il problema con il dottor Alessandro Ravasio, Direttore dell’UO di Neurologia di Rimini e Responsabile dell’ambulatorio Sclerosi Multipla.
Dottore, partiamo dalla domanda basilare: che cos’è la sclerosi multipla?
“È una malattia del sistema nervoso centrale con patogenesi infiammatoria autoimmune contro la mielina, una proteina che riveste i neuroni e favorisce la conduzione nervosa”.
Come si manifesta?
“Con sintomi che variano a seconda della zona cerebrale colpita. Se intacca il midollo, il danno interessa la via motoria e sensitiva, con disturbi nel movimento o perdita di sensibilità in alcune zone del corpo; se colpisce il nervo ottico, si manifestano disturbi della vista (molto frequenti: il 50% delle neuriti ottiche è causato da sclerosi multipla). Se interessa il cervelletto può dare disturbi dell’equilibrio”.
Quanti riminesi ne soffrono?
“L’ambulatorio Sclerosi Multipla segue regolarmente 420 pazienti, il 98% dei quali riminesi, gli altri provenienti da zone limitrofe. In Italia i malati di sclerosi multipla sono circa uno su 1000, a Rimini leggermente di più. Ogni anno vengono fatte 10-15 nuove diagnosi. Le donne sono più colpite, con un rapporto maschio/femmina di 2:3. L’età media alla diagnosi è tra i 25 e i 35 anni, l’80% ha tra i 20 e i 40 anni. Sono rare le diagnosi precoci così come quelle dopo i 50 anni”.
Qual è la causa della malattia?
“Una predisposizione genetica causa modificazioni del sistema immunitario su cui agiscono fattori ambientali, probabilmente virali. La malattia ha una distribuzione geografica abbastanza definita per cui diventa più rara man mano che ci avviciniamo all’equatore. Tuttavia, la sua diffusione sta aumentando e l’Italia, che fino a poco tempo fa veniva definita territorio a medio rischio, ora è ad alto rischio e la Sardegna è la regione più colpita”.
Perché sono in aumento i casi di sclerosi multipla?
“Perché sono migliorati gli strumenti diagnostici a nostra disposizione. Pur non esistendo un esame specifico per fare diagnosi di sclerosi multipla, l’introduzione della risonanza magnetica ha segnato una svolta: permette di fare diagnosi più frequenti anche delle forme benigne. Le lesioni che mette in evidenza, però, non sono specifiche, occorre metterle in relazione con l’esame clinico, l’esame del liquor mediante puntura lombare e l’esame dei potenziali evocati, che permette di evidenziare una sofferenza della via nervosa anche in assenza di quadro clinico”.
Qual è il decorso della malattia?
“Può avere andamento progressivo ma in genere si manifesta a crisi, dette poussè, che tendono a risolversi anche se col passare del tempo il miglioramento è sempre minore e si evidenziano i danni neurologici. Dopo 10 anni il 50% dei pazienti ha una forma secondaria progressiva: sono le forme peggiori perché causano un danno più evidente, come quello motorio che può portare anche alla sedia a rotelle”.
Quali nuove prospettive nella terapia?
“Alle terapie tradizionali (cortisone, interferone 1a e 1b, copolimero e immunosoppressori), si è affiancato un nuovo farmaco che sta dando buoni risultati, il Natalizumab: è più efficace degli interferoni ma può essere usato solo nelle forme più evolutive e sotto stretto controllo medico perché favorisce l’insorgenza di tumori e leucoencefalite multifocale progressiva. Si tratta comunque di farmaci che agiscono sulla cascata infiammatoria, non abbiamo farmaci in grado di riparare il danno nel tessuto nervoso. Si pensava che le cellule staminali potessero avere questa funzione ma ad oggi non abbiamo evidenze della loro efficacia nella sclerosi multipla”.
Gli studi condotti dal professor Zamboni a Ferrara e dal dottor Salvi a Bologna indicano che l’insufficienza venosa cerebro-spinale cronica (CCSVI) causerebbe il danno nervoso della sclerosi multipla. Cosa ne dice?
“L’ipotesi di Zamboni, secondo cui un restringimento delle vene Azygos e Giugulari causerebbe una stasi venosa con depositi di ferro e altre sostanze nel tessuto nervoso in grado di favorire l’inizio della malattia, è interessante perché apre nuove prospettive, però ricordiamo che la stessa occlusione è stata riscontrata anche in pazienti sani o con altre lesioni neurologiche. Questi studi inoltre sono stati condotti solo su una sessantina di pazienti, che non sono sufficienti per trarre delle conclusioni. Può essere uno studio preliminare interessante ma per ora ci vuole molta cautela, bisogna lavorarci ancora. Prima di tutto bisogna dimostrare che l’insufficienza venosa cerebro-spinale cronica esista e poi che è più frequente nei malati di sclerosi multipla piuttosto che nella popolazione generale. AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) e FISM (Fondazione Italiana Sclerosi Multipla) stanno finanziando un nuovo studio, rigoroso e in doppio cieco, che chiarirà se esiste una relazione tra CCSVI e sclerosi multipla. Al momento, l’intervento di riapertura delle giugulari con palloncino per via endovenosa o tramite stent viene effettuato in alcuni centri italiani ed esteri a pagamento per cifre tra 5000 e 7000 euro. Considerando che ogni fase dell’intervento comporta dei rischi per il paziente, fino a che non saranno provate efficacia e sicurezza dell’intervento stesso, non si può consigliare ai pazienti di operarsi”.
Del resto, lo stesso Consiglio Superiore della Sanità «ritiene opportuno che si proteggano i pazienti da facili entusiasmi, da speculazioni economiche e dai rischi connessi al trattamento stesso, ricordando che la ricerca biomedica e la sperimentazione sull’uomo così come la pratica medica devono ispirarsi al principio dell’inviolabilità dell’integrità psicofisica della persona»“.
Romina Balducci