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Schiaffo accademico

“Dotto’, che je faccio? Er solito? Spiace pensare che oggi una matricola universitaria su due non potrà godere di questo privilegio che anch’io potrei sfruttare se solo frequentassi più spesso i bar. Lo rileva l’ultimo osservatorio sull’Università italiana: il 50% non arriva alla laurea. “Meglio così: troppi laureati in giro”, dirà qualcuno. Ma è un luogo comune visto che la percentuale di laureati in Italia è bassa rispetto ad altri paesi europei. Certo, poi conta la capacità del mercato del lavoro di assorbirli. Certo, laurea non significa sempre preparazione. Sono convinto che nel giovane polo riminese, ad esempio, non ci siano certi retaggi dell’ancien regime accademico come quell’anziano professore del mio corso a Bologna che si accaniva con gli studenti che non avevano copia originale dei suo libri e a quelli che l’avevano faceva la domandina a piacere, come alle elementari. Ma, per fare un passo indietro, capire perché tanti universitari italiani si perdano cammin facendo è un tema complesso. L’osservatorio individua la causa soprattutto nello scarso orientamento e accompagnamento nelle scelte post diploma, col rischio di farsi affascinare dalle note professioni che al bar fanno ancora più scena (Mi scusi dotto’, er caffé dell’avvocato e sò da lei). Eppure c’è chi si preoccupa di fare orientamento: una nota università milanese ha di recente organizzato un open day addirittura per le famiglie degli studenti. Anche se lo scopo era soprattutto di sconsigliarle a iscrivere i loro pargoli, soprattutto a certe facoltà. Il sogno americano? Molto meglio il sano disincanto italiano.