La crisi economica che sta impoverendo un numero sempre maggiore di famiglie, incide profondamente anche sulle scelte di vita. Dicono i Vescovi all’inizio del loro messaggio in occasione della giornata per la Vita :“La grave difficoltà nel fare famiglia, a causa di condizioni di precarietà che influenzano la visione della vita suscitano inquietudine e portano a rimandare le scelte definitive e, quindi, la trasmissione della vita all’interno della coppia coniugale e della famiglia. La crisi del lavoro aggrava così la crisi della natalità e accresce il preoccupante squilibrio demografico che sta toccando il nostro Paese: il progressivo invecchiamento della popolazione priva la società dell’insostituibile patrimonio che i figli rappresentano, crea difficoltà relative al mantenimento di attività lavorative e imprenditoriali importanti per il territorio e paralizza il sorgere di nuove iniziative”.
Tutto questo è confermato anche dagli ultimi dati relativi alle famiglie nella Provincia di Rimini, presentati dall’Ufficio Statistico. Crescono le “famiglie unipersonali” ( + 7,9 negli ultimi 10 anni) e le famiglie monogenitoriali con figli ( + 3,7) a fronte di un calo della tipologia “coppia coniugata con figli, che pur continuando a rappresentare il 46% delle famiglie complessive perde in 10 anni 15 punti percentuali. La dimensione media delle famiglie è di 2,34. Attualmente i giovani tra i 25 e i 34 anni sono circa 37 mila, di questi il 39,9 vive ancora nella famiglia di origine con i genitori; nel 93% dei casi sono celibi/nubili. L’età media al matrimonio è arrivata a 34 anni per le donne e a 37 per gli uomini.
Drammatici i dati forniti dall’Osservatorio della Caritas Diocesana:
I dati 2011 raccolti dai 33 Centri di Ascolto presenti in tutta la diocesi mostrano una situazione di disagio in forte crescita:
– sono aumentate le persone che si sono rivolte alle Caritas: da 6.130 nel 2010 a 6.947 nel 2011;
– la povertà colpisce con maggiore frequenza le famiglie: nel 2010 il 33% degli individui che si erano rivolti alle Caritas viveva con la propria famiglia, nel 2011 questa percentuale è salita al 40%. Se facessimo una media di 3 componenti per famiglia, il numero delle persone in stato di disagio nel 2011 raggiungerebbe le 15.250 unità.
– Tra le problematiche emerse dalle persone in ascolto prevalgono bisogni occupazionali e abitativi, crescono anche tutte le altre tipologie di bisogni: il 20% ha segnalato disagi a livello familiare (separazioni, divorzi, conflitti tra parenti, necessità di assistenza di un familiare malato…). Le difficoltà abitative sono state registrate anche dall’Associazione Famiglie Insieme che nel 2011 ha aiutato 413 famiglie, per un totale di prestiti pari a 540 mila euro di cui: 325 mila per affitti e utenze, 70 mila per spese sanitarie, 71 mila per il pagamento di automezzi (assicurazioni, bolli…),18 mila per le spese scolastiche e i rimanenti per gli arredi e i ricongiungimenti familiari.
Ma, affermano i Vescovi, “non si esce da questa fase critica generando meno figli o peggio ancora soffocando la vita con l’aborto, bensì facendo forza sulla verità della persona umana, sulla logica della gratuità e sul dono grande e unico del trasmettere la vita, proprio in un una situazione di crisi. Donare e generare la vita significa scegliere la via di un futuro sostenibile per un’Italia che si rinnova: è questa una scelta impegnativa ma possibile, che richiede alla politica una gerarchia di interventi e la decisione chiara di investire risorse sulla persona e sulla famiglia, credendo ancora che la vita vince, anche la crisi”.
Il tema proposto per la Giornata per la Vita diventa l’occasione per proporre a tutta la comunità, momenti e gesti capaci di educare alla sobrietà, alla carità e alla condivisione, suscitando disponibilità al dono, alla accoglienza e al servizio. È importante che ogni gesto di solidarietà sia di aiuto per aprirsi alla carità evangelica in termini di prossimità e condivisione, e per progettare cammini educativi che attuino il passaggio dai gesti occasionali alla scelta di condivisione, mentre cresce la consapevolezza del valore evangelizzante del servizio e della liberazione dei poveri. Il discernimento deve mettere in moto un cambiamento dello stile di vita personale, familiare e comunitario costruendo un nuovo stile di relazioni che vinca l’individualismo e spezzi il clima di indifferenza.
Un po’ di proposte
Il punto di partenza non può che essere il discernimento: conoscere le situazioni di povertà, le cause che le hanno generate e la strategia migliore per affrontarle. Una conoscenza che si deve avvalere sia dell’incontro diretto con le persone e le famiglie, sia di momenti di incontro e di approfondimento sui valori in gioco.
Anche la finanza ha bisogno dell’etica; efficienza e profitto non possono fare a meno della giustizia e della solidarietà. Una solidarietà che si metta sempre più a difesa dei diritti umani, economici e sociali delle persone e delle categorie più povere.
Lo sviluppo economico non può prescindere dai diritti al rispetto dell’ambiente e della pace.
Un nuovo modello di sviluppo che sappia coniugare il mondo della finanza e dell’economia con quello della produzione e del lavoro e quelle dei servizi e dello stato sociale.
Il momento che stiamo vivendo può essere l’occasione per una seria riflessione sugli stili di vita, nell’ottica della sobrietà e del bene comune. Educarci per educare a discernere fra ciò che è essenziale e ciò che superfluo, fra sviluppo e sostenibilità.
Il soggetto di questo discernimento non può che essere l’intera comunità parrocchiale: il parroco con il consiglio pastorale, gli operatori pastorali, i ministri, i catechisti, i gruppi e le associazioni.
Il discernimento deve mettere in moto un cambiamento dello stile di vita personale, familiare e comunitario costruendo un nuovo stile di relazioni che vinca l’individualismo e spezzi il clima di indifferenza.
Si può proporre alle famiglie l’adozione di vicinanza da famiglia a famiglia: farsi carico delle famiglie più in difficoltà, stabilendo innanzitutto una relazione amicale; sostenendole sia dal punto di vista materiale che umano. Ad esempio tenendo i bambini mentre i genitori vanno a lavorare o accompagnandole in qualche ufficio, alle visite mediche ecc.. Potrebbero essere anche più famiglie che si mettono insieme per un progetto di sostegno a favore di una famiglia bisognosa.
Le famiglie immigrate oltre ai bisogni materiali hanno bisogno di essere aiutate a partecipare da protagoniste alla vita della comunità. Possiamo invitarle personalmente ai vari momenti spirituali e conviviali, alla liturgia domenicale, alla festa della parrocchia ecc..
È importante che l’ente pubblico venga stimolato al confronto e alla sinergia per far incontrare i bisogni con le risorse sia pubbliche che private. Possiamo valorizzare le risorse presenti sul territorio. Ad esempio coinvolgendo i negozianti della zona per reperire alimenti e indumenti a favore delle famiglie povere.
Superando ostacoli ideologici politici, si potrebbe potenziare la rete di rapporti fra istituzioni, aziende e rappresentanti dei lavoratori per facilitare la ricerca del lavoro.
La comunità parrocchiale potrebbe rivedere il proprio bilancio per eliminare le spese non necessarie e costituire un fondo di pronto intervento per chi non ce la fa più da solo. Anche l’ente pubblico può essere invitato a fare la stessa cosa.
Si potrebbe coinvolgere il gruppo dei catechisti e il gruppo liturgico, per favorire la comprensione e il collegamento vitale tra l’annuncio della Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la testimonianza.
Cesare Giorgetti