Quanto diamo per scontato l’indossare un paio di scarpe prima di uscire di casa? E poi magari cambiarlo la sera per farci più belli o quando andiamo in palestra per essere più comodi. Scarpe più robuste per le scampagnate domenicali e scarpe traspiranti per le calde giornate estive. Eppure ancora oggi nel cuore dell’Africa ci sono zone in cui indossare calzature chiuse e dignitose equivale a possedere una parure di gioielli da custodire gelosamente. Strade sterrate, fango, pietrisco… in Etiopia anche i bambini si spostano tutto il giorno scalzi, protetti al contatto col terreno solo dalla propria pelle che nel tempo si è fatta dura come il cuoio.
Lo sa bene Gianluca Sasso, ottico riminese, le cui “avventure africane” abbiamo seguito più volte per comprendere il piccolo ma importante contributo che lui e i suoi amici stanno dando negli anni a quelle popolazioni. Insieme ad un collega di Faenza e ad un amico fotografo di Campobasso, negli anni sono stati più volte nel Corno d’Africa per svolgere periodi di volontariato, guidati dal ‘Gruppo Africa – insieme noi possiamo’ di Bellaria e in particolare dal padre misanese Bernardo Coccia, la cui missione in Etiopia ha il nome ‘Romagna’. Lì gli ottici hanno messo in campo la loro professionalità per aiutare la gente a “guardare più lontano”. Spargendo la voce, i loro negozi sono diventati punti di raccolta per occhiali da destinare ai pazienti etiopi, ma anche di materiale didattico per gli studenti.
L’ultima loro spedizione ha visto al centro il problema della scarpa. “Ogni volta che andavamo giù – racconta Sasso – ci accorgevamo di quanto era diffuso il fenomeno dei bambini scalzi nell’Altopiano Etiopico, fatto di grandi tratti fangosi in cui la popolazione si sposta senza scarpe. Ci siamo guardati attorno e abbiamo trovato una fabbrichetta di scarpe cinese alla quale abbiamo strappato un accordo: 5 euro per un paio di scarpe”.
Così una volta tornati in Italia è partita la raccolta fondi per poter comprare quante più calzature possibili, e tra tombole di Natale e donazioni durante feste di compleanno, in poco tempo sono stati raccolti 3 mila euro, utili per comprare qualche centinaio di paia e fare una donazione alla missione di padre Bernardo.
Il dramma della cecità. I viaggi dei due ottici e dell’amico fotografo si dividono tra le città di Maganasse, dove svolgono i controlli alla vista a decine di persone che tutte le mattine attraversano a piedi per chilometri la savana per andare ad incontrarli, e a Shashaman dove ha sede una scuola per bambini non vedenti che svolge una funzione essenziale per l’area.
“Il problema della cecità è spesso legato a scarse condizioni igieniche. – prosegue – “Molti diventano ciechi per una banale congiuntivite o in seguito a una lesione, come il graffio di un ramo, che non viene curata e che dà origine ad infezioni. Un problema che in Italia verrebbe risolto con 5 euro di antibiotico, mentre lì si perde la vista”.
I bambini dalla visione deficitaria sono oggetti di forti discriminazioni. “Abbiamo conosciuto una bambina che soffriva di una forma di ipovisione per la quale non c’era occhiale ad aiutarla. In quelle condizioni sarebbe stata data sposa a un adulto e lasciata sola nell’angolo di una tenda. Siamo invece riusciti a farla accogliere dalla scuola per ciechi dove può contare su una vita più dignitosa. Ora ha imparato il linguaggio Braille e ride e scherza con i compagni, mentre prima era sempre silenziosa”.
Le famiglie povere faticano a comprendere i problemi sociali di un figlio con una disabilità e, se non è utile all’attività lavorativa, tendono ad emarginarlo. “Abbiamo conosciuto bambini definiti svogliati o asociali, ma ciò era dovuto ai diversi gradi di diottrie che gli mancavano. A loro abbiamo procurato occhiali ad hoc”.
Al momento Sasso e i suoi sono fermi per via delle recenti tensioni in Etiopia tra il Governo e i coltivatori che vedono espropriate le proprie terre dalle multinazionali, ma non vedono l’ora di rifare i biglietti. “La cosa bella del tornare in Etiopia è rivedere i bambini conosciuti nei viaggi precedenti e sentirsi dire che sono migliorati a scuola”. Eppure ogni volta si ritorna con più ferite che gratificazioni. “La situazione è davvero drammatica. Attraverso la televisione non si ha la minima percezione di ciò che sta avvenendo in Africa. Quando parliamo dei flussi migratori in Europa ci preoccupiamo degli sbarchi sulle nostre coste. Dell’’invasione’. Quando in realtà queste persone non vengono per invadere nessuno. Spesso sono donne incinta o bambini che viaggiano da soli per fuggire da problemi reali nella speranza di un futuro migliore”. A confutare l’immagine ostile del mondo islamico che fuoriesce dalla TV è lo “straordinario livello di tolleranza tra i missionari cattolici e la popolazione musulmana che respiriamo ogni volta che scendiamo. Dopotutto, come dice padre Bernardo, i poveri hanno un unico Dio: quello che soffre la fame”.
Mirco Paganelli