Ci siamo, sono arrivati. Sfiniti, stanchi, disorientati, ma finalmente sono arrivati. È la famiglia di Sheick Abdo (nella foto) (composta da cinque persone: papà, mamma, nonna e due bambini), profughi siriani che dal 2012 vivono in un campo profughi del Libano, dopo essere fuggiti dalla violenza della guerra in Siria. E che sono arrivati a Santarcangelo attraverso il Corridoio umanitario organizzato dalla Comunità di sant’Egidio.
Venerdì sera (30 novembre) intorno alle 19, il pulmino che li ha portati da Roma Fiumicino a Santarcangelo ha parcheggiato davanti alla chiesa Redemptor Hominis ed è stata subito festa. Eravamo una cinquantina, noi parrocchiani, ad aspettarli ansiosi; tra cui Gloria, una bimba di tre anni con in mano due palloncini colorati: uno rosa e uno azzurro. Li ha visti scendere, è corsa loro incontro e ha allungato le braccia per consegnare i doni ai due nuovi compagni.
Non si erano mai visti, ovviamente, ma per un attimo è stato come se si fossero frequentati da sempre. E anche il padre, la madre e la nonna dei due ragazzini hanno sorriso, grati per l’accoglienza e – allo stesso tempo – molto emozionati. Il ghiaccio è stato rotto così, da tre bimbi apparentemente molto diversi ma in realtà identici. Ed è partito un applauso che sembrava non finire, un applauso di gioia e benvenuto. All’interno della chiesa, la famiglia intera si è accomodata sulla prima panca e tutti – uno ad uno – siamo andati a stringere le mani e a dare loro un colpetto sulla spalla, come si fa in Romagna. Qualcuno ha azzardato anche qualche abbraccio, imbarazzato ma autentico. Il parroco, il Sindaco e alcuni amministratori hanno dato il benvenuto formale e Abdo (il capofamiglia) ha ringraziato tutti con qualche parola in italiano. Dopodiché sono stati accompagnati nella loro nuova casa, poco distante dalla chiesa. Era giusto che si riposassero e che alleggerissero un po’ i pensieri, dopo un viaggio durato circa 24 ore.
Nelle ore immediatamente successive, raccolgo a caldo le impressioni dei presenti e ne è scaturito un collage coinvolgente. “Il primo pensiero che ho avuto è stato quello di ringraziare il Signore perché sono arrivati sani e salvi. – mi dice don Andrea – Adesso è il momento di mettere insieme le buone idee e i buoni propositi che ci siamo fatti in questo tempo di attesa e renderli un tutt’uno con la realtà”. Laura, invece, ha realizzato come davvero attraverso la collaborazione di tanti si sia riusciti a dare aiuto a chi ne aveva bisogno: “Abbiamo salvato un’intera famiglia da una guerra assurda e ora siamo aiutati, da loro, a crescere come comunità”.
Mara, una dei componenti del gruppo che ha coordinato i preparativi per l’accoglienza della nostra nuova famiglia è rimasta molto commossa dall’incontro: “Noi, assieme a loro, portiamo un po’ di speranza in questo mondo che ci vede sempre più menefreghisti e disinteressati. L’arrivo della famiglia siriana mi ha emozionata davvero molto. Più li osservavo e più mi chiedevo cosa mai potessero avere vissuto, cosa i loro occhi potessero avere visto. La nonna, che credevo anziana per via dello sguardo un po’ duro e apparentemente serio e severo, una volta accompagnata a casa si è addolcita: mi ha accarezzata, dicendo qualcosa in arabo per me incomprensibile, ha sorriso e di colpo si è rivelata una donna giovane e speranzosa. Mi sono immedesimata nella mamma dei due bimbi, in attesa di un terzo, che con coraggio ha abbandonato quello che aveva per lasciarsi accogliere da noi. Sono stati sradicati dalla loro terra e dai lori affetti per arrivare in un posto sconosciuto. Mi auguro di riuscire, insieme all’intera comunità, ad accoglierli veramente in mezzo a noi”.
Valentina, la mamma della bambina che ha accolto i due nuovi amichetti all’arrivo, mi racconta la sua emozione indimenticabile: “Ho voluto guardarli negli occhi, e sono riuscita a percepire tutta la loro commozione e la loro sofferenza, pur non parlando la stessa lingua. Mi è venuto spontaneo abbracciarli, per far capire loro come siano i benvenuti nella nostra città”.
“La prima cosa che ho pensato è che fossero ‘puliti’, belli, contenti. Mi hanno colpito i bambini: stanchi, timidi ma allegri. Insomma – mi riferisce don Ugo – mi ha colpito il fatto di trovarmi davanti una famiglia normale, e quindi forte, molto forte. Perché, in effetti, ‘normale’ non è”.
Per Francesca, invece, “è stato bello riscoprire, negli ultimi tempi, cosa significa attendere qualcuno e prepararsi al suo arrivo. Il tutto culminato con la gioia dell’incontro, a pochi giorni dall’Avvento; un’altra opera immensa del nostro Signore. Mi sento orgogliosa di far parte di una comunità che, ancora una volta, ha avvertito forte il richiamo ad unire le forze, a mettere insieme i talenti per moltiplicarli e fare grandi cose”.
Suor Chiara, della Sacra Famiglia, li ha accolti nella “sua” chiesa, a nome anche delle altre consorelle. Per lei è stata una gioia vedere tanta gente ad attendere chi stava per arrivare in cerca di un futuro migliore: “È proprio vero che il bene è una cosa da condividere. Questa famiglia ha avuto molto coraggio per affidarsi completamente a degli sconosciuti. E ho pensato, allo stesso tempo, alla gioia grande che si prova nello stare tutti insieme”.
L’imbarazzo e “il non saper cosa dire” è stato per molti l’ostacolo più grosso, durante questo incontro particolare. Certamente la piccola Gloria ha aiutato tutti noi a vincere la timidezza, attraverso quel suo tenero gesto di offrire subito un segno tangibile di benvenuto ai due nuovi amichetti. Siamo tornati nelle nostre case più consapevoli della fortuna che abbiamo, di quello che troppo spesso diamo per scontato e che invece – per troppa gente – non lo è affatto. La strada è appena cominciata, sarà lunga e forse tortuosa. Ma ce l’abbiamo messa tutta per cominciare bene e, si sa, chi ben comincia è a metà dell’opera.
Roberta Tamburini