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SANITÀ, NEL 2030 IL TAGLIO ALLE SPESE RAGGIUNGERÀ I 19 MILIARDI DI EURO

L’allarme lanciato dalla Fondazione Gimbe. E in provincia qual è la situazione?

È una ovvietà, ma è bene ripeterlo: la salute è al primo posto nelle preoccupazioni degli italiani. Un po’ meno nelle priorità del Governo. Perché se è vero che sta stanziando una cifra importante, al netto dell’inflazione, che ha fatto lievitare tutti i prezzi, i numeri reali si ridimensionano molto. Secondo la Fondazione Gimbe, con gli stanziamenti previsti, nel 2027 il finanziamento pubblico per la salute scenderà al 5,7% del Pil (Prodotto nazionale): il minimo storico, e ben lontano da quanto già spendono gli altri paesi europei (media UE 6,8% e media Ocse 6,9%). Di questo passo, da qui al 2030, verrebbero a mancare 19 miliardi di euro. In concreto, a parità di potere d’acquisto, cioè considerando quello che con i fondi disponibili di può comprare, l’Italia ha speso in salute, nel 2023, 2.379 euro per abitante, a fronte di 3.759 euro della Francia, 4.373 della Germania e 2.521 euro della Spagna, solo per fare qualche esempio (Ocse). Le conseguenze di questo sotto finanziamento sono le file che conosciamo, i tempi lunghi, a volte lunghissimi, delle prenotazioni, il dirottamento verso il privato, per chi può permetterselo. Risultato: 4 milioni e mezzo di italiani rinunciano a curarsi. Che, badate bene, non vuol dire risparmiare, ma con ogni probabilità è l’anticipo di un ulteriore aggravio per i futuri conti pubblici, perché quando queste persone entreranno in qualche Pronto Soccorso sicuramente staranno peggio e le cure costeranno di più. È solo un rimandare. A meno di non buttarle letteralmente per strada come succede in America se non hai un’assicurazione medica che paga le spese. La Romagna e il distretto sanitario di Rimini non sfuggono a questi tagli e restrizioni. Per essere stati indirizzati a questa o quella struttura, a volte vicina altre meno, una idea approssimativa dell’organizzazione sanitaria del territorio, cioè dell’offerta, grosso modo ce l’abbiamo. Ma quali siano le specializzazioni e gli interventi più ricorrenti è un po’ più complicato e a volte le informazioni si diffondono per sentito dire, più che per una conoscenza documentata. Un vuoto che cerchiamo di colmare. Nell’intero territorio della provincia di Rimini esistono 10 strutture sanitarie, di cui la metà private accreditate. Come si può vedere nella tabella allegata ciascuna ha una sua specializzazione, che non vuol dire completamente dedicata a quel particolare tipologia di intervento, ma con una forte prevalenza. Per fare un esempio: l’ospedale ‘Infermi’ di Rimini non si dedica solo ai parti cesarei (531 ricoveri), dove ha i maggiori numeri, ma come tutte le grandi strutture ospedaliere segue un ampio ventaglio di cure. Per volume di ricoveri

2023, dopo i parti cesarei ci sono: gli scompensi cardiaci (496 ricoveri), la colecistectomia totale (486 ricoveri), infarto miocardico acuto (443 ricoveri), frattura al collo del femore (442 ricoveri), interventi di angioplastica (432) e così a scendere.

La lista delle cure disponibili si chiude con la broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco), con un solo ricovero in day hospital. Curiosa la propensione delle cliniche private accreditare per le protesi al ginocchio. Quella del territorio è una organizzazione sanitaria suciente? A giudicare dall’emigrazione ospedaliera in altre regioni bisogna dire che il voto è buono, anche se esistono margini di miglioramento. Infatti, le dimissioni ospedaliere per nosocomi di altre regioni riguardano solo il 4,9% del totale a Rimini (erano il 6,3 nel 2010), il 2,9% a Forlì-Cesena, il 2,8% a Ravenna, il 3,1% a Bologna, il 5,3% a Modena e il 6,0% a Reggio Emilia (Istat, BES Territori 2024). Ovviamente siamo ben lontani dalle percentuali a due cifre di tante province del Sud. Che, bisogna dirlo, fanno la fortuna della sanità del Nord, compresa l’Emilia-Romagna, che dalla mobilità sanitaria attiva (cioè dai pazienti che vengono a curarsi da fuori regione) incasserà, nel 2024, 564 milioni di euro, seconda solo alla Lombardia con 579 milioni (Conferenza delle Regioni).

Gli interventi avvengono sempre nei tempi raccomandati? Parzialmente. Per un intervento di angioplastica coronarica in pazienti con Stemi (che andrebbe eettuata secondo quanto raccomandato dalle linee guida internazionali entro 90 minuti dall’arrivo in struttura) i tempi sono rispetti, all’Infermi, per il 63% dei casi (corrisponde alla media nazionale); per una frattura al collo del femore, l’intervento entro 48 ore dall’accesso in ospedale secondo le raccomandazioni viene rispettato per il 68% all’Infermi e per il 61% al Ceccarini di Riccione (media nazionale 59% e livello raccomandato 60%) (Agenas, PNE/Piano Nazionale Esiti, edizione 2024). I tagli e la crescente domanda di salute non migliorano certo questa situazione: i posti letto negli ospedali di Rimini, dal 2010 al 2022, sono scesi, ogni 10.000 abitanti, da 41 a 38, a Forlì-Cesena da 40 a 36, a Ravenna da 41 a 35, a Bologna da 52 a 44, a Modena da 38 a 33, a Reggio Emilia da 33 a 26, a Parma da 49 a 45 (BES 2024). La chiamano razionalizzazione. Ma l’Italia ha solo 31 posti letto ospedalieri ogni 10.000 abitanti, quando la media Ocse è 43, per schizzare a 78 in Germania, 69 in Austria, 67 in Repubblica Ceca, 57 in Francia e 30 in Spagna. La ragione, dicono alcuni, che spiega una certa fretta nelle dimissioni.

È probabile, come dicono altri, che avere tanti posti letto non sia poi un indice di ecienza, secondo la formula più ritardo nelle cure uguale più posti letto occupati, ma può anche voler dire meno tempi di attesa per la ragione opposta, cioè per carenza di posti letto. In fondo la Germania e l’Austria non sono proprio il prototipo dell’inecienza organizzativa. Andiamo un po’ meglio con i medici: 4,1 per mille residenti in Italia, questa volta sopra la media Ocse che è di 3,7.

Ma se non mancano i medici è probabile che ci sia un problema di distribuzione e organizzazione del sistema sanitario, per non parlare di salari e qualità del lavoro. Nota relativamente positiva: il 45% dei medici italiani sono donne, ma ancora 5 punti sotto il valore medio Ocse. Relativamente all’oerta di medici per provincia, a Rimini ci sono più di 5.000 donne per ginecologo, sopra la media nazionale che è di 4.000, quasi 7.000 pazienti per cardiologo (Cittadinanzattiva, 2023), 6,5 medici di medicina generale per cento abitanti, in linea con la media regionale, 34 medici specialistici per 10.000 residenti, questa volta meno di Parma 40, Modena 39, Bologna e Ferrara 45 (BES 2024). Si fa sentire l’assenza di cliniche universitarie. Le distanze da colmare, nazionali e locali, sono palesi e per rimediare ci sarebbe bisogno di un deciso aumento delle risorse, reali non solo nominali.

Che vuol dire lasciare fuori dalle cure sanitarie un sempre maggior numero di persone, contravvenendo all’articolo della Costituzione dove sta scritto che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo” (art.32).