“San Marino è un po’ così: è amica nostra ma è anche amica loro”. Così Gianfranco Lucignano, Comandante del Nucleo di Polizia Tributaria di Rimini, riassume il difficile rapporto tra Rimini e San Marino, o per meglio dire, tra Italia e San Marino nei fatti riguardanti i passaggi sospetti di soldi da uno stato all’altro e la lotta al riciclaggio. Lucignano parla ad una platea di professionisti – banchieri in particolare visto che lo scenario è quello di un convegno organizzato dalla Banca popolare Valconca sul tema delle infiltrazioni mafiose e riciclaggio – e le sue parole arrivano come tuoni soprattutto quando dice che a Rimini i principi etici sono sconosciuti. “Le banche non dovrebbero solo fare quello che impone la legge (si riferisce alla segnalazione di operazione bancaria sospetta, ndr) ma rispettare anche dei principi etici. Principi che in provincia di Rimini sono sconosciuti. Qui siamo all’inferno! Con gli stessi funzionari bancari che dirigono i clienti nei guai verso gli usurai. Sette i procedimenti in corso”. Lucignano parla di un sistema di coperture e di operazioni che i funzionari bancari tendono a “non vedere” soprattutto negli istituti di credito di San Marino. L’esempio più lampante è quello di un conto corrente nel quale in 9 mesi sono stati depositati 23 milioni di euro, ebbene “non esisteva nessuna carta che accertasse che fossero stati fatti depositi e per identificare chi avesse portato i soldi”. Il conto venne chiuso dopo 9 mesi, appunto, e i soldi trasferiti ad Hong Kong. Di questo strano passaggio l’Agenzia di Informazione finanziaria di San Marino si accorse solo dopo due anni. E torniamo al concetto iniziale: “San Marino è un po’ così: è amica nostra ma è anche amica loro”, lo ribadisce e lo afferma nel cercare di spiegare un certo tipo di atteggiamento dell’antica terra della libertà con chi fa affari con loro e gli altri Stati che, come l’Italia, chiedono loro informazioni. Un atteggiamento di cerchiobottismo non tanto gradito a Lucignano che ritiene che il cardine della normativa antiriciclaggio sia la verifica scrupolosa della clientela e continua: “La banca deve segnalare anche quando c’è il semplice sospetto, soprattutto quando il cliente ricopre una carica pubblica, perché il fenomeno del riciclaggio spesso passa attraverso i fenomeni corruttivi”.
La palla, a questo punto, passa a Piergiorgio Morosini. Il cattolichino, giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palermo, si è occupato lungamente di fenomeni corruttivi e del rapporto tra riciclaggio, corruzione e criminalità organizzate che hanno fatto della Riviera meta prediletta per riciclare il denaro che arriva dalle attività illecite dello spaccio, dell’usura. Ribadisce, Morosini, che a Rimini si ricicla più che a Palermo (lo dichiarò in un’intervista rilasciata a il Ponte, nel numero del 13 marzo 2011, Colpiamo ai fianchi la corruzione) e a domanda precisa risponde che la corruzione è il fronte sul quale insistere per combattere o semplicemente fiaccare la mafia. “Era il 1999 quando a Strasburgo l’Italia firmò la Convenzione penale del Consiglio d’Europa sulla corruzione. Da allora nessun governo, sia stato esso di destra o di sinistra, ha mai tradotto quella convenzione in una legge dello Stato Italiano. Adesso se ne discute ma siamo in ritardo. Mi preme dare solo un numero. In Italia la corruzione coincide con un terzo sull’Irpef che ogni cittadino paga annualmente”. E in tempi di rincaro delle tasse non è una notizia facilmente digeribile.
Angela De Rubeis