San Marino deve rimborsare i frontalieri. L’affermazione perentoria arriva dalla Centrale Sindacale Unitaria che prende carta e penna e passa al contrattacco sottolineando come “sia per l’Italia sia per San Marino, sul piano delle entrate fiscali e contributive i lavoratori frontalieri sono un affare rispetto agli altri lavoratori. E ciò vale sia per i frontalieri dall’Italia verso il Titano, sia per quelli residenti sulla Rupe che lavorano in Italia, i cosiddetti frontalieri alla rovescia. E c’è di più perché per San Marino, con l’introduzione della tassa etnica, il guadagno è diventato ancora maggiore”. Secondo la Csu la Convenzione italo-sammarinese in materia sanitaria del 1974 prevede che lo Stato dove il lavoratore frontaliero presta la propria opera debba girare, su richiesta, la quota capitaria, oggi pari a circa 320 euro al mese, all’Ente sanitario del paese di residenza. Quindi la Repubblica dovrebbe girare all’Italia 4mila euro all’anno per i circa 6mila lavoratori frontalieri. “Ma in realtà San Marino paga la quota solo per circa 1.300 lavoratori. C’è forse un tacito accordo?”. Per effetto della stessa Convenzione, i residenti a San Marino che varcano il confine per lavorare, fruttano allo Stato sammarinese i prima citati 320 euro al mese. Lo Stato italiano, a sua volta, incassa le loro tasse, senza dover prestare loro i servizi. “L’Italia incamera in tasse mediamente l’equivalente della quota capitaria. Saldo per l’Italia: praticamente zero. Il guadagno per lo stato sammarinese invece è notevole, tanto più considerando che questi lavoratori non deducono nulla dalla dichiarazione dei redditi”. In sostanza, San Marino incassa da loro molto più di quanto incasserebbe se lavorassero a San Marino. Questi lavoratori, naturalmente, pagano in Italia molte più tasse dei loro colleghi sammarinesi che lavorano in territorio (oltre ad avere maggiori spese per le trasferte). “Come si vede, i frontalieri sono un’importante fonte di entrata per entrambi gli Stati”.