Chi era Raffaele Gattei? Dal “suo” libretto di volo, rilasciato il 20 febbraio 1937, e messomi gentilmente a disposizione dalla nipote Rosetta Muratori,
Raffaele il 4 maggio 1936 risulta essere stato ammesso al XV Corso Nazionale come motorista conseguendo la qualifica l’11 novembre 1936, come si può leggere nell’attestato rilasciato a Capua. Al termine del corso viene promosso “aviere scelto motorista” e viene assegnato alla 211a Squadriglia da bombardamento, basata a Vicenza, reparto che successivamente viene trasferito in Libia. Nelle ultime pagine del libretto sono annotati i voli da lui compiuti in quella zona durante la primavera del 1938. La nipote Rosetta mi ha raccontato di lui: “Mio zio Raffaele è nato da una famiglia povera, serena, laboriosa e onesta; nono figlio dopo altri cinque maschi e tre femmine. In base alle dediche che si possono leggere dietro alle foto in mio possesso, date a Lui dai suoi amici e compagni, si scopre che Raffaele era solare con spirito cameratesco, amante di tutti gli sport, in particolare pattinaggio e boxe. Uno spirito libero, amante della vita, disponibile con tutti, con grande rispetto per la famiglia e la Patria, fino al sacrificio”.
Suo fratello Alberto Muratori mi ha riferito: “Tra i ragazzi della famiglia Gattei, oltre a Raffaele, ve ne sono stati altri attratti dal fascino dell’aviazione: Vincenzo, Giovanni e mia mamma Anna Maria. Loro avevano partecipato ai corsi di volo a vela a Rimini nei primi anni trenta. Mia madre mi ha raccontato che quando camminava per strada, quando la vedevano le sue amiche, le dicevano: Ve, e pasa la vulareina (guardate, passa la volatrice).
Quell’attività veniva svolta sulla spiaggia tra il porto e Piazza Tripoli, quando le condizioni lo permettevano. Lo zio Raffaele invece aveva praticato pugilato e pattinaggio. Dai racconti ascoltati in famiglia, si diceva che si allenava lungo la litoranea tra Rimini e Riccione. La morte di Raffaele ha lasciato molto sgomento nella famiglia, Sua mamma ne era rimasta segnata”.
Maggiori dettagli sull’incidente
Proseguendo la lettura del giornale sammarinese (“Il Popolo Sammarinese”, ndr) si apprendono numerosi dettagli su chi ha operato i soccorsi: “Accorsi subito l’Ispettorato Politico e Comandante della Gendarmeria Ten. Pietro Animali con il Maresciallo Malaguti e il milite Astolfi Angelo e organizzatesi subito volonterose squadre di soccorso, composte in gran parte di operai, con alto spirito di solidarietà e sprezzo del pericolo veniva data la scalata al monte.
Assicurato dapprima con corde l’aeroplano che stava per precipitare, con fatica veniva estratto dall’apparecchio l’equipaggio. Gattei cessava di vivere subito, e gli altri due, gravemente feriti e posti con grandi difficoltà completamente in salvo, venivano trasportati all’ospedale della Misericordia, dove ricevevano le cure del Chirurgo Primario dott. Comm. Aquilanti e degli altri medici immediatamente accorsi, dottori Suzzi Valli, Paganucci e Barbera. Poco dopo l’incidente giungevano a S. Marino S.E. il Generale Oppizzi, il Generale Pricolo, Comandante la II Squadra Aerea, il Col. Del Duca, Comandante l’aeroporto di Rimini, il Cap. Degli Incerti, il Podestà di Rimini Conte Mattioli, ed altre autorità di quella città, che ebbero parole di riconoscente grazie e di plauso per le attestazioni di pronta, affettuosa ed efficace solidarietà offerta dai Sammarinesi agli aviatori d’Italia. Nel pomeriggio ebbe luogo il trasporto da S. Marino a Rimini della salma del motorista Gattei alla quale rese gli onori militari un picchetto della Guardia Repubblicana. A Rimini, dove pure era stato trasportato in autolettiga, per poi proseguire alla volta di Bologna, per essere ricoverato in quell’Istituto Rizzoli, decedeva il S.Ten. Caliceti. Il pilota Cap. Mancini, ricoverato nello stesso Istituto Rizzoli, è in via di guarigione”.
Nell’articolo pubblicato sul “Popolo d’Italia” del 21 luglio 1938, intitolato “Festa Notturna”, viene menzionato il passaggio sul campo di volo dei velivoli della pattuglia acrobatica, eseguito in onore dei due aviatori periti nell’incidente del giorno precedente. La madre di Raffaele ha voluto anche ringraziare la cittadinanza riminese ed i militari dell’Arma che hanno partecipato alla cerimonia funebre, scrivendo una lettera al Podestà Mattioli, il quale si è sentito in dovere di comunicare ciò che Lei aveva scritto, al Comandante dell’Armata Aerea della Libia.
Riporto le Sue toccanti parole che si concludono con: “… il sacrificio del mio giovanissimo figlio ci lascia prostrati sì, ma fieri ed orgogliosi del contributo da Lui dato alla gloriosissima Arma scelta dei cieli per le più grandi fortune della Patria”.
La dinamica della tragedia
Durante le ricerche mi sono messo in contatto con altri nipoti di Raffaele Gattei (Gian Paolo, Raffaele Romano, Giuliano, don Luciano, Raffaele). Grazie alla cortese collaborazione di Raffaele Romano Gattei, ho avuto la possibilità di acquisire copia di altri importanti documenti su quanto accaduto, sul quale era stata aperta una inchiesta. C’era da accertare la dinamica dell’incidente di volo e le responsabilità. Il primo documento è datato 26 luglio.
Da questo si traggono numerosi dettagli: “L’aereo era decollato da Rimini alle ore 10:20, temporaneamente immatricolato civile con la sigla I-LIBO MM. 11375, ed in carico ad una Squadriglia dell’Aeronautica della Libia, pilotato dal Cap. A.A.r.n.
Mancini Corrado. […] Al momento della partenza le condizioni atmosferiche erano discrete: 10/10 di copertura, altezza delle nubi 1200 metri circa, visibilità 20 chilometri circa; dal campo era infatti visibile la Rocca di S. Marino ove era stabilito il primo controllo del circuito”.
Segue poi la parte che ci spiega com’è avvenuto l’incidente: “L’apparecchio partito dal campo si diresse senz’altro verso S. Marino, mantenendo un regime di motori un po’ ridotto, allo scopo di consumare poco carburante, trattandosi di una prova di autonomia di consumo, ed in conseguenza di ciò guadagnò quota talmente lentamente che, giunto a qualche centinaio di metri dalla Rocca di S. Marino (alto 748 m s.l.m.) si trovò più basso della Rocca stessa di oltre 200 metri. Il pilota tentò allora di girare a destra, ma la manovra venne eseguita talmente in ritardo che l’apparecchio urtò prima contro i fianchi del Monte Titano restando incastrato in un canalone. Il Capitano Mancini, nella dichiarazione fatta, attribuisce l’incidente alla cattiva visibilità ma tale giustificazione non può essere accettata in quanto, dal momento della partenza, al momento dell’incidente, la Rocca di S. Marino era chiaramente visibile dal campo e in quanto le testimonianze raccolte sul posto da S.E. il Generale di S.A. Pricolo, recatosi sul posto, accompagnato dallo scrivente, sono tutte concordi nell’affermare che al momento dell’incidente le condizioni di visibilità erano buone e che in tutti, anche ai non esperti in materia aviatoria, la sensazione che l’apparecchio andasse ad urtare contro la montagna si radicò quando l’apparecchio si trovava a circa otto chilometri dalle pendici del monte”.
Con le informazioni acquisite, vengono ipotizzate due possibili cause: “L’incidente non può quindi che spiegarsi: 1) o in una errata valutazione della quota, spiegabile soltanto con qualche difetto visivo del pilota; 2) o in una errata valutazione della possibilità di salita dell’apparecchio in conseguenza del basso regime al quale i motori erano tenuti. In ogni caso quindi l’incidente non può ascriversi che ad una errata condotta del volo, imputabile al primo pilota Cap. Mancini”.
(2- fine) Daniele Celli