Il desiderio di padre Sidoti era quello di giungere in Giappone. A Manila assicuratosi l’aiuto della popolazione e del Governatore spagnolo, iniziò la costruzione di una nave (tre alberi, circa 20 metri di lunghezza) capace di affrontare mari burrascosi fino al paese agognato. La nave fu battezzata con il nome “Santissima Trinità”. La partenza avvenne il 23 agosto 1708, mentre una folla lo salutava pregando nella baia di Manila. Per il viaggio occorsero circa 50 giorni. Sidoti sbarcò sull’isola Yakushima il 16 ottobre 1708. Quest’isola pochi anni fa fu dichiarata patrimonio naturale dell’umanità perché, tra l’altro, crescono cedri della veneranda età di 7200 anni. Padre Sidoti riferirà che per rispetto alla cultura locale vestì da samurai, comprese le due spade acquistate a Manila. Subito riconosciuto (era alto 180 cm), fu trasportato prima a Kagoshima poi a Nagasaki, dove per circa un anno subì interrogatori. Da qui fu trasportato a Edo in portantina-gabbia (Kago) riservata ai prigionieri, un vero tormento per il nostro gigante missionario. Tant’è che quando giunse a destinazione presso la cosiddetta “Kirishitan Yashiki”, ora Bunkyoku, Sidoti non poteva camminare e fu portato di peso dalle guardie giapponesi. La cosiddetta “Yashiki” residenza, era di fatto una prigione per i “Bateren”, i missionari che sotto la terribile pressione della pena, chiamata “la fossa”, avevano abiurato. Qui erano vissuti a lungo il primo e più famoso gesuita portoghese, vice provinciale, Cristoforo Ferreira e tra quelli che giunsero per riparare lo scacco del Ferreira era stato padre Giuseppe Chiara, gesuita siciliano. Qui, dopo un po’ di riposo, Sidoti fu sottoposto a vari interrogatori dall’esperto neo confuciano impiegato dallo Shogun, il quale gli aveva ordinato di dare un giudizio su questo straniero che si era azzardato di infrangere la legge che minacciava la morte a chiunque entrasse clandestinamente nel Paese. L’ufficiale, Arai Hakuseki si preparò leggendo l’interrogatorio di Nagasaki e tre libri sul Cristianesimo, scritti da padre Chiara per ordine del Governo. Gli incontri tra Arai e Sidoti sono riportati nel manoscritto che Arai intitolò “Seiyo Kibun” (Notizie dell’occidente). Essi danno una nuova luce riguardo alle due personalità e al loro pensiero. L’interrogatorio si trasformò in uno studio-colloquio tra i due grandi pensatori, rappresentanti di due culture. Era questa la prima volta dopo quasi 100 anni che il Giappone veniva in contatto con l’Europa. Alla fine del periodo Edo, e con il passaggio all’era Meiji, gli studiosi dissero che l’incontro Arai-Sidoti fu una finestra aperta verso lo sconosciuto occidente. Alla fine dei colloqui Arai dava un riassunto delle linee basilari sul “Romano”, come lo chiamava, perché il centro della sua ”setta” era a Roma e infine formulava il suo giudizio sul comportamento da tenere nei confronti dell’accusato. Il giudizio generale riguardo Sidoti si può riassumere nei punti seguenti:
A) Il Romano merita rispetto per la sua onestà e profonda cultura, cresciuto in un mondo differente dal Giappone assai progredito nella tecnica.
B) Probabilmente la sua setta fa parte di una delle tante sette buddiste.
C) Dall’esame del caso risulta che la religione Cristiana non farà guerra al Giappone e non ha mire espansionistiche.
D) Per quanto riguarda il modo di trattare il romano propone 3 possibili soluzioni: 1) Condanna a morte come in passato in base alla legge; 2) Prigionia a vita nella residenza; 3) Rimandarlo al paese di origine.
Arai, spiegando le varie motivazioni consiglia l’ultima soluzione; ma il governo decise per la prigionia coatta con trattamento moderato.
Dopo la fine degli interrogatori (1709-1710) seguirono 4 anni monotoni nella residenza. Ma poi avvenne l’incredibile: i due anziani sposi che per decine d’anni avevano servito i “Bateren” (apostati), per la prima volta si sentirono profondamente attratti dalla tenerezza di padre Sidoti che rispondeva con gentilezza e amore alle loro cure. Quindi chiesero di istruirli nella Dottrina Cristiana e domandarono a lui la grazia del Battesimo. Ma Chosuke è fedele alle leggi giapponesi e confessa alla polizia il ”crimine” del Battesimo. Dopo la confessione di Chosuke l’atteggiamento del governo cambiò repentinamente e con estrema severità. I tre furono calati in tre buche (3 metri di profondità, 140 cm di diametro) . Il coperchio sulle buche veniva tolto una volta al giorno quando veniva calata una scodella di “okayu” (riso brodoso). Padre Sidoti giorno e notte, dalla sua buca, incoraggiava i due figli spirituali a tenere il cuore verso Gesù sofferente e tendere al Paradiso. Arai, che fu testimone di questa scena, finisce dicendo: Il Romano è impazzito!
I tre passarono al cielo, prima Haru (la moglie) poi Chosuke e infine padre Sidoti. Poi sopravvenne un silenzio durato 300 anni.
padre Mario Canducci