Il più “ingombrante” dei misteri della fede cristiana, la croce di Cristo, è all’origine della riflessione di Salvatore Martinez nel quarto incontro del cammino quaresimale diocesano “… E di Me sarete testimoni”, che si è svolto lunedì 15 marzo nella chiesa di Sant’Agostino a Rimini. Il dottor Martinez, con sguardo spirituale, ha trattato il tema de “L’esercizio della comunione nella vita quotidiana” premettendo che “L’esperienza della croce di Cristo e la salvezza mediante la Croce di Cristo sono gli elementi precipui della nostra fede cristiana.
Chi nel proporre la fede cristiana si appoggia soprattutto alla sapienza umana, come ad esempio capiterebbe a chi volesse procedere in dimostrazioni intellettuali attraverso metodi che vanno oltre il livello dell’immaginazione, ebbene renderebbe vana la croce di Cristo (1Cor.1,17) ”.
La Croce non è vana
La Quaresima è per eccellenza il tempo in cui lasciar parlare “Gesù Cristo, e questi crocifisso”, infatti “come mai nella storia era accaduto, come mai più dopo l’incarnazione, la morte e la risurrezione di Gesù potrà accadere, nella croce di Gesù i contrasti, gli opposti sono stati riconciliati: vita e morte; umiltà e maestà; povertà e gloria; debolezza e forza; ingiustizia e perdono; abbandono e amore; tristezza e gioia; naturale e soprannaturale. Nella croce tutto il senso è dato”.
Nella croce non c’è solo sofferenza
La croce può essere presentata, ai credenti e ai non credenti sia nell’aspetto della sofferenza che nella sua immagine gloriosa.
“La storia del cristianesimo, in special modo attraverso la storia dell’arte, racconta due modi fondamentali di rappresentare la croce e Gesù crocifisso. Uno cosiddetto antico e uno moderno. Tutti e due insieme mettono in luce il mistero della croce.
Il modo moderno ha privilegiato il racconto drammatico, straziante della croce, nella sua cruda realtà, nel momento in cui il Cristo è all’apice della sua passione. La croce è così simbolo del male, della sofferenza, della morte ed evidenzia le sue “cause” cioè l’odio, la cattiveria, l’ingiustizia.
Il modo antico, invece, della croce metteva in luce non le cause, ma gli effetti, ciò che essa produce: riconciliazione, pace, gloria, vita eterna. Noi vogliamo qui guardare alla glorificazione di Gesù sulla croce, riscoprire la croce gloriosa nell’ora in cui il Figlio è glorificato”.
L’ “ora” della glorificazione di Gesù e anche la nostra.
“Nel nostro tempo, come in ogni secolo, molti continuano a rifiutare la salvezza di Gesù perché non accettano la sofferenza. Non si può meritare la salvezza senza sofferenza, senza rimanere uniti a Gesù nelle prove che ci affliggono.
Chi si adagia sulla croce di Gesù si unisce alla sua sofferenza, non è un disgraziato, un maledetto, un rinnegato come vorrebbe il mondo. È piuttosto un salvato!
La croce non è la diminuzione del suo amore, non è privazione della promessa di Gesù di una gioia piena sulla terra. Essa ci fa vedere chiaramente “chi” siamo e “cosa” possiamo diventare, sa lasciamo morire in noi tutto ciò che non glorifica il Padre”.
Come conoscere Gesù
Il cristianesimo non è semplicemente una dottrina. Non significa convertirsi ad una ideologia, ma è l’incontro con una persona viva.
“Conoscere il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo non è semplicemente sapere di Lui.
Lo devo conoscere sacramentalmente, cioè nella comunità cristiana, insieme ai fratelli e alle sorelle nella fede, disponendomi a servire la comunità, a farla crescere, a divenire io stesso “sacramento”, segno d’amore per tutti.
Al tempo stesso deve pure essere una conoscenza entusiasmante, quella che mi porta a dire: più lo conosco e più vorrei conoscerlo, più in alto salgo, e più ancora vorrei salire.
Infine, questa conoscenza deve essere gioiosa. Infatti, è essa che deve portare a sopportare ogni prova che devo affrontare, ogni dubbio, ogni afflizione.
Non sarà il potere mondano a salvare l’uomo, non sarà l’economia a sfamarlo: solo Dio può salvare l’uomo e il Dio vivo e vero, entra nella storia percorrendo la via dell’umiltà e della semplicità, dalla grotta alla croce.
Conoscere Cristo non significa guadagnare un talismano che immunizza la vita umana dalle sofferenze e dalle disgrazie. ConoscerLo non significa scoprire un rimedio preventivo, assicurativo contro i malanni della nostra esistenza presente. La grazia è sempre in segreta simpatia con la sofferenza umana. Non c’è amore senza passione! Non comprenderemo mai la passione di Cristo fuori dalla passione di Dio (amore appassionato) per gli uomini”.
Rischiare tutto per la Croce
Nella croce c’è tutto l’amore di Dio che i cristiani devono offrire a chi è loro vicino.
“L’amore di Dio non è mai insignificante, ma quanto è difficile questa arte d’amare! E quanto è necessaria al genere umano. La beata Teresa di Calcutta era solita dire: “Oggi non abbiamo più tempo per guardarci, per parlarci, per darci reciprocamente gioia. La gente è affamata d’amore, perché siamo tutti troppo indaffarati”.
La nostra fede non è mondana, ma è per il mondo.
Non facciamo del Vangelo un “romanzo rosa”, in cui un fascinoso Maestro di nome Gesù sarebbe venuto a parlarci di amore, a fondare una sorta di “religione filantropica”. Una sorta di pensiero buonista, da accogliere tra sorrisi e pacche sulle spalle, all’insegna del “vogliamoci tutti bene”. Gesù è stato il protagonista di una lotta tremenda tra il bene e il male. Gesù ha dovuto accettare e subire che la Verità venisse condannata e crocifissa, così che morendo e risorgendo la Verità potesse confermare in modo inequivocabile la sua natura divina”.
La Comunione nella diversità
La croce di Cristo è una “verità praticata” e mediante il sacrificio di Gesù, pace è stata fatta tra il cielo e la terra.
“La comunione è “un fatto” che con l’aiuto dello Spirito Santo non dobbiamo stancarci di accogliere, proclamare e vivere.
Una Chiesa somigliante a Dio è espressione di quella volontà di perfezione che Gesù mediante lo Spirito rende possibile in noi. Più viviamo la comunione, più somigliamo a Dio. La comunione non è vicinanza; ci sono persone che pur stando vicine sono divise.
Siamo chiamati a formare il “noi” ecclesiale, a superare la tristezza dell’ “io”. È lo Spirito” che ci presenta l’altro, che ci permette di accoglierlo, di passare dall’ “io” al “tu”, facendoci vivere l’esperienza e la realtà teologica della comunione ecclesiale. La diversità è sempre una grazia e la comunione non è omologazione, ecco perché un corpo deve essere vivo e multiforme nell’armonia di tutte le membra.
È bello pensare questa Chiesa di Rimini come un insieme armonico di carismi e ministeri, che vive di sinergie, che sente la necessità di incontrarsi e completarsi, per ricomporre quell’unità dello Spirito che è nel ministero di Cristo servo rappresentato dal Vescovo. Tante membra un solo corpo, tanti ministeri, tanti carismi, tante operazioni che svelano la presenza di Cristo Gesù, il suo corpo mistico in tutte le componenti di questo corpo”.
Francesco Perez