Prima di addentrarci nella disamina del lavoro precario in provincia di Rimini cerchiamo, brevemente, di ricostruire il contesto. A fine 2022, in provincia di Rimini, risultavano occupati 145.000 persone: lo stesso numero dell’anno precedente. Ma nel 2019, prima del Covid, erano 149.000: mancano 4.000 occupati per tornare agli stessi livelli. Uno scarto che Rimini condivide con le altre province romagnole e regionali. Quindi niente di irregolare. Non condivide, invece, con le altre province i bassi salari medi percepiti da chi lavora: 16.000 euro lordi, il 79° importo su 103 province nazionali (in vetta Milano con 31.000 euro) e la peggiore retribuzione in Emilia-Romagna, che vede al vertice Parma con 26.000 euro. Queste scarne ma importanti informazioni, su cui c’è poco da gioire, trovano una spiegazione nella diffusione di forme di lavoro dove abbonda il precariato: lavoro breve e pagato poco, non di rado sotto i minimi contrattuali e lontano dal minimo di 9 euro lordo l’ora, di cui si discute l’introduzione per legge. I nuovi rapporti di lavoro (assunzioni) attivati nel 2022, in provincia di Rimini, che non sono troppo diversi da quelli degli anni precedenti, in comparazione con la altre province della regione, parlano da soli: su 100 nuovi rapporti di lavoro siglati nell’anno, 94 sono precari e solo 6 prevedono l’assunzione a tempo indeterminato (che è tutt’altro dal lavorare dodici mesi l’anno). A Forlì-Cesena e Ravenna va un po’ meglio, ma non troppo: a tempo indeterminato sono, rispettivamente, il 10 e il 9 per cento del totale delle assunzioni. Non accade così nelle province emiliane, dove i contratti stabili (a tempo indeterminato) previsti dai nuovi rapporti di lavoro, variano tra 16 e 18 per cento. Tre volte più di Rimini, ma superiori anche alle altre due province della Romagna. Ma c’è un altro dato interessante da osservare: i nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato non sono, in assoluto, nuovi impieghi, ma spesso trasformazioni di precedenti rapporti precari già in essere, magari nella stessa azienda. Una trasformazione che per tanti stagionali risulta, però, essere solo un miraggio, visto che su oltre 41.000 assunzioni (da non confondere con il numero delle persone) che rientrano in questo gruppo, solo per 228 di loro si è reso possibile, nel 2022, il passaggio, da un anno all’altro, ad un contratto stabile. Cioè lo zero virgola per cento. Questo spiega abbondantemente i bassi salari medi, che a loro volta, oltre ad una minore produttività, dipendono anche dal ridotto numero di giornate lavorative annue: 199 per Rimini, vicino a 250 nelle province emiliane. Un gap storico rimediabile solo aumentando l’offerta di lavoro stabile, a cominciare dal turismo, il maggior bacino di lavoro breve. Ma non basterà, perché non tutto il turismo è destagionalizzabile. Allora, una seria politica di sviluppo del lavoro deve prevedere anche investimenti in nuove attività annuali manifatturiere e dei servizi di alta gamma. Ma questo non è nei programmi di nessuno, né dei governi locali, né delle opposizioni.
Alberto Volponi