Da cinque anni è in pensione ma continua ad appassionarsi alle vicende del Palazzo comunale dove ha lavorato per quarant’anni e, soprattutto, della città per cui ha prestato servizio, la Rimini che ha visto e contribuito a far crescere in decenni segnati da profonde trasformazioni. L’impegno nel turismo, la sfida del Piano Strategico, che ha diretto, la scommessa del Capodanno più lungo del mondo, l’Azienda di Soggiorno che presenziò per molti anni, il turismo riminese e romagnolo… Pietro Leoni è ancora ricordato come il “dirigente dei dirigenti” di piazza Cavour.
Da quel giorno in cui ha salutato i colleghi di Palazzo Garampi, quale progetto della sua Rimini ha seguito con più attenzione?
“Il Piano Strategico, l’esperienza partecipativa e di gestione amministrativa più stimolante degli ultimi decenni. Contrariamente a quanto avvenuto in altre città italiane, il Piano Strategico riminese ha orientato l’azione di governo locale. Il sindaco Gnassi ne ha fatti suoi, condividendoli, gli obiettivi. Questa scelta lo ha premiato, anche elettoralmente”.
Nella nascita del Piano Strategico lei ha ricoperto un ruolo di primo piano, ma è stata vera partecipazione?
“Ho sempre pensato che il fattore qualificante fosse la tensione emozionale e partecipativa dell’intera comunità (non solo nelle sue espressioni organizzate). Nella fase che ha preceduto l’adozione del Piano, nel 2010, questa tensione era palpabile. Quando furono affissi i grandi manifesti 6×3 che raffiguravano come la città si sarebbe trasformata, gli scettici risero, attribuendoci l’appellativo di visionari. Era il più bel complimento che ci potevano fare. Poi ha preso avvio il percorso importante di attuazione attraverso il Master Plan, l’Agenzia e l’insieme dell’amministrazione comunale. I rendering dei progetti in corso assomigliano tantissimo a quelli immaginati dal Piano diversi anni prima. Ma oggi è fondamentale un ancora più ampio coinvolgimento e responsabilizzazione della comunità con un secondo Piano Strategico di Rimini e del suo territorio. I tempi mi paiono maturi, ma sulla tensione partecipativa mi sembra che ci sia da lavorare parecchio, e con maggiore convinzione”.
Il Parco del Mare, piazza Malatesta, la nuova rete fognaria, i cantieri riminesi annunciati di recente, il Teatro Galli: Rimini sta cambiando dopo anni di immobilismo. C’è qualcosa che avrebbe auspicato idiversamente?
“Condivido la maggior parte dei progetti che segnano il cambiamento della città. Credo, però che sia arrivato il tempo perché Rimini svolga un più significativo ruolo verso ambiti territoriali più ampi, caratterizzandosi come ponte e centro ordinatore tra le Romagne e il Montefeltro”.
In che modo?
“Una competizione vincente tra territori su scala internazionale richiede una riflessione più ampia e attenta sulla dimensione d’area vasta che nel nostro caso non può che essere identificata con la Romagna o le Romagne, che dir si voglia. L’eliminazione di fatto delle province, il posizionamento su scala romagnola degli asset strategici (energia, rifornimento idrico, raccolta e smaltimento rifiuti, sanità, trasporti, formazione e Università, distretti turistici, ecc.), la riorganizzazione in atto negli assetti organizzativi delle associazioni e delle strutture di servizio (Camere di commercio, associazioni di categoria, ecc.) evidenziano l’ambito territoriale ottimale, ma a mio parere, tali politiche richiedono, per evitare derive campanilistiche e sterili contrapposizioni, il valore aggiunto di una visione condivisa. Serve un Piano Strategico della Romagna per rendere ancor più coeso, integrato e competitivo questo territorio. L’esperienza riminese potrebbe rappresentare una buona pratica di riferimento”.
Il turismo è stato preponderante nel suo percorso. Perché la Città e la provincia non registrano crescite significative, specie sul mercato straniero?
“I prodotti che ancora oggi rappresentano il core business del nostro turismo sono da tempo entrati in una fase di preoccupante maturità. Ciò rende ancor più urgente una coraggiosa spinta all’innovazione. Anche in questo caso il Piano Strategico ci sta aiutando (Parco del Mare, sistema fognario, centro storico, ecc). Cerchiamo di guardare la parte piena del bicchiere. Siamo riusciti a mettere in campo nuovi prodotti che competono sulle fasce alte del mercato, penso al congressuale e al turismo d’affari e degli eventi. Quando nel 2011/2012 cambiammo il format del Capodanno passando dalla diretta RAI (costosissima e stramatura) alla messa a sistema degli eventi organizzati attorno al Natale e al Capodanno, il sindaco Gnassi affermò l’obiettivo di trasformare il Capodanno da un mero evento in un prodotto turistico di successo. Ecco un esempio virtuoso di innovazione turistica”.
Quali degli incarichi che ha ricoperto, tornerebbe subito a vestire?
“Ogni incarico è legato ad una stagione della vita. Ho avuto il privilegio di svolgere una professione e ricevere incarichi impegnativi, che mi appassionavano e mi divertivano. Conta come ti poni di fronte alle responsabilità. Ora leggo libri ai bambini che frequentano la sezione ragazzi della Biblioteca e lo faccio con lo stesso entusiasmo di quando dirigevo l’APT dell’Emilia Romagna”.
Quale è l’aneddoto che più le piace ricordare?
“Seul 2010, 11ª edizione del WLC World Leisure Congress, tra i più prestigiosi convegni internazionali per il tempo libero e il turismo. Due anni dopo toccherà a Rimini organizzare il Congresso e ho ricevuto l’incarico di coordinare il comitato scientifico del congresso riminese. Sessione plenaria, centinaia di persone, accademici, operatori turistici da tutto il mondo in sala. C’è attesa per l’intervento del sociologo George Ritzer, famoso per le sue teorie sulla mcdonaldizzazione della società come «processo di omologazione e spersonalizzazione». Il professore, parlando di mcdonaldizzazione del turismo, inizia a proiettare le sue slides. Non credo ai miei occhi! Quella selva di ombrelloni schiacciati con il teleobiettivo è la spiaggia di Rimini, presentata come esempio di «fabbrica di uniformità, omologazione e alienazione». Può Ritzer immaginare che proprio lì in sala c’è qualcuno che ha qualcosa a che fare con il modello che sta storpiando? Al termine dell’intervento gli faccio notare che le cose non stanno così. Il giorno dopo, sempre in sessione plenaria, tocca a me. Incrocio le lame e vado giù pesante. Dagli applausi della platea, avverto che, nonostante il mio inglese malfermo, tutti hanno capito che la spiaggia di Rimini è l’esatto contrario di quello che ci ha fatto vedere Ritzer: uno spazio di libertà e di relazione, con servizi di prim’ordine”.
Salutando i suoi amici e colleghi prima di andare in pensione ha detto: “D’ora in poi cambio musica e cambio banda”…
“Non era mica una metafora, era proprio letterale! Ad aspettarmi c’era la Banda città di Rimini, la più antica istituzione culturale della città. Da allora io, come presidente, e gli amici dell’associazione lavoriamo insieme.
Abbiamo puntato molto sulla formazione musicale dei giovani: siamo convinti che la musica migliori la qualità della vita e delle relazioni. Abbiamo istituito la Scuola di musica per banda per garantire il ricambio generazionale e nell’anno formativo 2016/2017 contiamo circa 60 allievi. Abbiamo creato una Banda Giovanile che ovunque si esibisce, riscuote simpatia e successo, e assieme al distretto musicale Valmarecchia gestiamo il progetto Music desk per le scuole primarie. Ci piacerebbe che l’amministrazione comunale di Rimini, nostro naturale riferimento, riconoscesse in modo tangibile il valore dell’esperienza che stiamo facendo e non ci costringesse ogni anno ad una snervante trattativa per l’attribuzione dei contributi che per noi significano la sopravvivenza. Nel 2016 abbiamo inserito 14 giovani allievi nella banda e l’età media si è abbassata ai 30 anni, siamo una delle bande più giovani dell’Emilia Romagna”.
Musica a parte, da pensionato e nonno (sappiamo che ama dedicare gran parte del tempo ai nipoti) qual è il più grande augurio che si sente di fare alle nuove generazioni?
“Di coltivare, nonostante tutto, la speranza di un mondo migliore, anche nei comportamenti individuali e nelle piccole cose quotidiane; di trovare dentro di se la forza per indignarsi, protestare e appassionarsi. Sarebbe bello che andando a dormire potessero pensare, come capitava a molti della mia generazione quando avevamo 20 anni, che il giorno che verrà sarà meglio di quello che si sta per concludere”.
Alessandra Leardini