Messa in scena per la terza volta al ROF Adelaide di Borgogna nel nuovo allestimento realizzato dal regista Arnaud Bernard
PESARO, 13 agosto 2023 – Adelaide di Borgogna non è un’opera buffa, anche se il sottotesto musicale evoca in più occasioni lavori comici, dalla Cambiale di matrimonio, di cui Rossini ricicla l’ouverture, a pagine del Barbiere, seppure adattate con tutt’altro valore semantico. Partendo da questo presupposto il regista Arnaud Bernard – al suo debutto a Pesaro – cerca di fondere la componente seria con quella comica, sulla falsariga di tanti grandi classici teatrali.
Insieme ad Alessandro Camera, autore delle scene, a Maria Carla Ricotti, che firma i bellissimi costumi, e a Fiammetta Baldiserri, responsabile delle luci, fa aprire il sipario sul palcoscenico vuoto dell’Arena Vitrifrigo, dove stanno per iniziare le prove di Adelaide. Mentre la musica procede, un po’ alla volta arrivano interpreti e maestranze: l’idea certo non è nuova, ma qui è sapientemente sfruttata. Sotto l’occhio vigile del regista – con tanto di sciarpa d’ordinanza – lentamente prende forma lo spettacolo e compaiono i frammenti delle singole scene come in un puzzle: solo nel grande quadro finale della cattedrale la campata visiva, seppure per pochi istanti, si compone nella sua interezza (con tradizionalissimi fondali dipinti, peraltro magnifici). Nel frattempo, però, lo spettacolo ha mostrato al pubblico attraverso fulminanti istantanee le relazioni – spesso animate da conflitti personali – fra le varie figure coinvolte nella produzione. Pur correndo il rischio che le gag e qualche rumore di troppo distraggano dalla musica, la messinscena si trasforma in occasione per riflettere su ciò che avviene al di là delle quinte, e su come ogni artista si porti dietro il proprio personale vissuto in ogni interpretazione. Una lettura, insomma, né calligrafica né attualizzante, ma soprattutto metaforica.
Adelaide di Borgogna andò in scena nel 1817 al Teatro Argentina di Roma, dove l’anno precedente c’era stata la première del Barbiere, lasciando il pubblico abbastanza deluso. La trasformazione librettistica di un episodio storico medioevale (l’imperatore Ottone che, sceso in Italia, sgomina le truppe di Berengario e sposa la regina Adelaide da lui spodestata) portava la firma di Giovanni Schmidt, autore per Rossini anche del testo di Elisabetta regina d’Inghilterra. Al di là dei limiti del libretto, si colgono soprattutto i tratti di modernità della musica e, a un ascolto attento, non sfuggono i segnali che caratterizzeranno tanto futuro teatro d’opera ottocentesco, a cominciare dalla lotta per il potere intrecciata con le passioni amorose.
Nel ruolo del titolo Olga Peretyatko, presenza costante sul palcoscenico pesarese, ha puntato soprattutto sul magnetismo scenico: la sua Adelaide è un po’ sottotono nel primo atto, in Occhi miei piangeste assai, mentre il soprano russo gioca le carte migliori nella grande aria conclusiva più smaccatamente belcantista Cingi la benda candida, sfavillante di variazioni. Il mezzosoprano armeno Varduhi Abrahamyan si è imposta per la resa omogenea in tutto l’arco dello spettacolo e la sicurezza canora con cui ha impresso tratti eroici al personaggio en travesti di Ottone. Nel ruolo di Adelberto, un tenore come René Barbera, incandescente soprattutto nel registro superiore, ha dato prova di solidità vocale e buone doti espressive. Più opaco l’impeccabile basso Riccardo Fassi, nei panni di Berengario, penalizzato forse da una voce talvolta secca. Fra i comprimari da ricordare il soprano Paola Leoci, Eurice, insignita di un’aria anche se non scritta da Rossini, e – per le qualità timbriche – il tenore Valery Makarov, come Iroldo. Ancora una volta il coro era quello del Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno, diretto da Giovanni Farina, lodevolmente impegnato anche sul versante scenico per assecondare i desiderata registici.
Francesco Lanzillotta ha ben valorizzato la ricchezza di colori della partitura, guidando con apprezzabili intenzioni analitiche – e senza mai coprire il palcoscenico – l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, ammirevole soprattutto nella sezione degli ottoni, cui la scrittura di Rossini dedica particolare attenzione. Per fortuna: sarebbe stata imperdonabile qualche caduta in tal senso, visto che il deuteragonista si chiama Ottone.
Giulia Vannoni