Dopo l’esito del voto del 4 marzo la mancanza di un autentico vincitore e quindi la necessità di costruire un governo di coalizione aveva fatto subito intravedere il paradosso delle somiglianze tra la Prima e la nascente Terza Repubblica. Quello che non era prevedibile, o forse non lo era nella misura in cui si è realizzato nelle trattative sul governo di queste settimane, è il ritorno al primato dei partiti rispetto alle persone e, tendenzialmente, rispetto alle istituzioni. Tanto per evitare equivoci, è bene ricordare subito che i partiti sono un cardine della democrazia. “Tutti i cittadini hanno diritto ad associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, recita l’art.49 della Costituzione. Certo sui partiti di oggi è urgente una riflessione a proposito dei meccanismi di democrazia interna e sulla loro trasparenza. Non per difendere a oltranza forme obsolete, ma per un dovere di chiarezza nei confronti dei cittadini elettori. Tornando al tema iniziale, colpisce come si sia passati con disinvoltura dalla retorica delle riunioni in diretta streaming agli incontri iperriservati. Qualcuno ha evocato i famosi vertici di maggioranza che almeno fino ai primi anni Novanta sono stati in molti casi il vero luogo decisionale della politica italiana, anche rispetto al Consiglio dei ministri e al Parlamento. “Partitocrazia”, la si chiamava polemicamente. La reazione a questo processo involutivo, agli inizi degli anni ’90 si è svolta all’insegna del recupero di importanza delle persone e delle istituzioni rispetto ai partiti. E se pure la Seconda Repubblica resta una grande incompiuta – proprio le sue contraddizioni sono il presupposto di sistema della situazione attuale – ancora in vista delle ultime politiche il dibattito pubblico registrava forti polemiche sulle liste bloccate, sulle candidature decise dalle segreterie dei partiti… Ora, improvvisamente, sembra che le persone non contino quasi più nulla. Uno vale l’altro, a cominciare dal presidente del Consiglio. I partiti che hanno la maggioranza decidono il programma, governo e parlamentari sono soltanto chiamati a eseguire. Non è un caso che sia stato messo apertamente in discussione il principio del libero mandato sancito dall’art. 67 della Costituzione, autentico caposaldo della democrazia rappresentativa: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
Chi ha i numeri in Parlamento ha tutto il diritto di governare, ma lo deve fare nell’interesse generale del Paese e all’interno delle regole della Costituzione, perché la democrazia non è la dittatura della maggioranza.
Stefano De Martis