Home Attualita “Ristoratori non abbiate paura”

“Ristoratori non abbiate paura”

INSERIMENTI LAVORATIVI (3) In centro a Rimini c’è un ristorante dove i tirocinanti sono quattro. Il titolare Zangheri ha iniziato 11 anni fa accogliendo il figlio di suoi clienti e non ha più smesso

Tutto è iniziato undici anni fa con Paolo, che è qui con noi ancora oggi. Io ogni tanto gli dico che adesso è diventato lui il direttore del ristorante”. Massimo Zangheri ha una lunga esperienza di inserimenti lavorativi di persone disabili o svantaggiate. Lo fa nella sua storica attività di ristorazione in centro a Rimini. “ Non ci eravamo ancora trasferiti in piazzetta Teatini. I suoi genitori sono clienti, lui veniva con loro a mangiare da noi e mi aveva colpito perché lo vedevo a disagio”. Nasce un rapporto che si rafforza reciprocamente e che sfocia in un contratto di tirocinio. “Una volta i suoi mi hanno voluto parlare. Era per chiedermi di tenerlo a lavorare qualche ora con noi. Io ho accettato”.

È nata così un’esperienza che non è rimasta isolata e che anzi ha generato più di un frutto. Attualmente sono quattro i tirocini attivati. Oltre Paolo c’è Monica, che lavora in cucina e ci sono Francesco e Serena, che lavorano in sala (o in giardino, a seconda della stagione). Francesco e Serena sono persone con sindrome di Down e sono seguite dall’associazione Crescere insieme.

“A me piace molto lavorare”, racconta Serena. “Mi piace tenere tutto pulito e in ordine e mi piace imparare cose nuove”. Francesco, invece, è responsabile della piegatura dei tovaglioli, mentre Monica aiuta in cucina preparando le verdure e pulendo il pesce. Paolo controlla che lavorino bene, oltre ad apparecchiare e sparecchiare.

Perché ha scelto di inserire queste persone dentro al suo staff? Non solo una, poi… “Perché fanno bene prima a noi che a loro, con loro si sta bene”.

Può spiegare meglio?

“Con loro si sta bene perché non sanno cos’è la gelosia, non sanno cos’è l’invidia, non sanno cos’è la cattiveria. Tutte cose che invece quando ti confronti con le persone ‘normali’ verifichi non dico sempre, ma molto spesso. Loro sono puri, sono genuini”.

Come si riflette questo nei rapporti di lavoro dentro al vostro staff?

“Lavorano bene, io vedo gioia nei nostri collaboratori, nei nostri camerieri o nei nostri cuochi”.

E non sono contrariati perché potrebbe succedere che questi tirocinanti rallentano il lavoro, o magari sbagliano?

“Nel collaborare? Ma no, assolutamente. Non nel nostro caso. Può succedere, ma ci si organizza. Si cambiano le mansioni. Da noi i tirocini lavorano la mattina, non la sera. In pratica, si organizzano i turni, per cui ogni persona trova una sua dimensione per cui può lavorare bene. Perché poi, alla fine, queste persone devono fare un lavoro preciso e lo devono fare bene. Chi apparecchia deve apparecchiare bene, chi cucina deve cucinare bene, e così via. Noi li trattiamo a tutti gli effetti come dipendenti. Come ci è stato richiesto anche dai tutor. Perché così bisogna fare, devono crescere e imparare. Quando la situazione lo richiede, devi riprenderli. Devi far capire che stanno sbagliando e investire in questo il tempo necessario, ma quando il lavoro è chiaro, lo fanno bene”.

Che tipo di mansioni hanno?

“Non hanno incarichi di responsabilità. Per esempio non prendono gli ordini, almeno per il momento. Fanno altre cose. Preparano la sala, il servizio, l’apparecchiatura. A loro piace molto”.

La sua è un’esperienza che consiglierebbe ai suoi colleghi?

“Ma certo che lo consiglio, sì. Perché alla fine è più quello che loro danno a noi, nella bellezza dello stare insieme, rispetto a quello che ricevono. Vorrei dirlo soprattutto ai colleghi che potrebbero pensare che questi ragazzi possano, al contrario, dare fastidio nell’ambito lavorativo. C’è anche un altro aspetto positivo…”.

Quale?

“Lavorando da noi, percepiscono dei soldi dalla Regione e aiutano le loro famiglie. Quindi tenendoli con noi, anche noi diamo un aiuto a queste famiglie, ed è bello soprattutto nei casi in cui c’è necessità”.

Le è mai capitato di avere problemi?

“Come tutti i lavoratori, devono rispettare degli orari. Però Serena, proprio non ci riesce. A volte arriva anche un’ora dopo. Quando arriva e le si chiede dove sia stata e perché abbia fatto tardi, lei non te lo sa spiegare. Allora, chiamo il tutor ma non perché a me interessi che lei arrivi in orario, ma per capire dove va in quest’ora, in questa mezz’ora. Poi inizia a lavorare e non si ferma più, e lo fa bene”.