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Risparmiatori traditi – Crac Banca Marche, mille riminesi coinvolti

risparmio - crack bancheHanno visto diventare carta straccia migliaia di euro. In provincia sono un migliaio, circa, i risparmiatori rimasti intrappolati nel default di Banca Marche, presente nel territorio con una decina di filiali. Centinaia abitano in alta Valmarecchia, molti sono pensionati.
Le associazioni dei consumatori si mobilitano.

I risparmi di una vita investiti in azioni e obbligazioni volati via. Con il crac di Banca Marche. Il grido di disperazione di un imprenditore 64enne di Novafeltria, solo uno dei tanti risparmiatori danneggiati dal recente fallimento dell’istituto marchigiano e delle altre tre banche italiane interessate – Banca Etruria, CariChieti e Cari-Ferrara – ha fatto il giro della Valmarecchia. L’imprenditore racconta di essersi fidato dell’istituto di credito, al quale ha affidato i risparmi di una vita, ma è andato tutto in fumo nel giro di 24 ore. “Sono stato catapultato in un incubo. – dichiara l’uomo – Non so che fare, sono ancora sotto choc”.

Le proporzioni non saranno le stesse, ma il disastro di Banca Marche coinvolge decine e decine di altri risparmiatori, in Valmarecchia, dove l’istituto di credito era di casa. Da una vita. C’è chi ha visto diventare carta straccia anche 50 mila euro, perfino 200.000 euro. Azionisti e obbligazionisti che alla fine di novembre hanno visto azzerati interi patrimoni.

[toggles toggles_title=”Toggles”] [toggle title=”Federconsumatori”]

Una situazione grave. Federconsumatori di Rimini, assieme ad alcuni legali del territorio, ha deciso di organizzare prima delle festività natalizie, un incontro a Novafeltria per incontrare e informare i cittadini vittime del crac Banca Marche. E all’assemblea pubblica hanno risposto quasi duecento persone. Il team di avvocati predisposto dall’associazione ha fatto il punto sulle possibili mosse a tutela dei risparmiatori traditi. In Alta Valmarecchia sono centinaia le persone coinvolte ma si calcola che siano un migliaio i riminesi rimasti intrappolati nel crac in tutta la provincia dove sono presenti una decina di filiali di Banca Marche. Molti sono pensionati.

“La nostra squadra di avvocati valuterà ogni singola posizione – spiega, per la Federconsumatori di Rimini, Sara Forasassi -. Dobbiamo capire quante persone sono rimaste vittime del Salva-Banche e se ci sarà la possibilità, in base a ogni singolo caso, di fare ricorso e chiedere i danni all’istituto di credito”. “Diversi risparmiatori della provincia chiamano i nostri uffici, per sapere come muoversi – aggiunge il presidente degli azionisti di Banca Marche, Bruno Storari -. Molti di essi sono pronti ad affilare le armi. Ma i margini per la restituzione, anche parziale, del denaro perduto, sono davvero residui”.

La Federconsumatori suggerisce di richiedere alla banca tutti i documenti firmati e di sottoporli al proprio legale di fiducia o al proprio team di avvocati. Il presidente Enrico Pecorari mette anche in guardia i cittadini da chi paventa azioni di gruppo. “Nessuna class action è concretamente attuabile – avverte – anche perché sono tutti casi che vanno valutati singolarmente. Stiamo valutando – conclude – la possibilità di scendere sul penale perché da parte delle banche ci sono state delle mancanze gravissime.” [/toggle]

[toggle title=”Salvataggio: giusto o no?”]

In risposta al crac delle quattro banche il Governo ha varato un fondo di solidarietà di 100 milioni di euro, alimentato non da denaro pubblico ma dalle altre banche italiane.
Una decisione giusta? Due opinioni a confronto

Alla fine, dopo la grave crisi di Banca Marche, CariFerrara, CariChieti e Banca Etruria, di fatto “fallite” e sulle cui ceneri sono nati quattro nuovi istituti ripuliti dei crediti inesigibili, è arrivata nei giorni scorsi la decisione del governo. E’ stato infatti varato un “fondo di solidarietà” da 100 milioni di euro, alimentato non da denaro pubblico bensì dalle banche italiane tramite il “Fondo interbancario di tutela dei depositi” istituito in base ad una direttiva europea. Al momento non si conoscono le modalità operative e si attende un decreto del ministero dell’Economia e finanze in tale senso. Il fondo verrà in soccorso solo di persone fisiche, imprenditori individuali e agricoli e non di società che avessero investito in obbligazioni subordinate.

Sui 12.500 clienti colpiti, in tutta Italia, per un totale di 431 milioni di euro, ne verranno “salvati” di fatto uno su quattro, a partire dai 1.010 clienti più piccoli (per un totale di 27 milioni).

Difficile dire al momento cosa possa succedere agli altri clienti che hanno o una concentrazione di tali obbligazioni inferiori al 30% del patrimonio totale, oppure che pur avendole in misura più alta dispongono di patrimoni superiori a 100mila euro. Perderanno invece tutto il loro capitale i 130mila azionisti che detenevano titoli delle quattro banche fallite.[/toggle]

[toggle title=”Salviamoli!”]

Ma come è stato possibile arrivare a questo? Lo abbiamo chiesto all’economista Leonardo Becchetti, dell’università Roma Tor Vergata.

Cosa insegna il caso delle quattro banche italiane fallite?
“L’intervento è stato provvidenziale in quanto ha evitato che possessori di obbligazioni ordinarie e correntisti per la quota di deposito superiore ai 100mila fossero coinvolti. E si è evitato questo grazie ad una ‘colletta’ delle altre banche che hanno versato tre anni di quote dovute al fondo di garanzia, costruito per far fronte a problemi di questo tipo”.

La decisione del governo di dar vita a un fondo di salvataggio ha un senso, oppure costituisce un brutto precedente per il quale la gente penserà che “tanto se succede qualcosa, lo Stato ci aiuta”?
“Forse il governo poteva battersi di più nei confronti dell’Ue. Subito dopo la crisi sono stati spesi miliardi e miliardi pubblici per salvare le banche nel Nord Europa e il governo italiano non ha speso nulla. Ma non abbiamo accumulato un credito e ora che c’è stata la difficoltà delle nostre quattro banche purtroppo il sistema è cambiato e i salvataggi pubblici non sono più possibili”.

Perché a pagare sono azionisti e possessori di obbligazioni e non primariamente i vertici delle banche, che hanno provocato le perdite?
“Ogni attività economica porta con sé un rischio. Il fallimento può avvenire per circostanze non previste e non è necessariamente una colpa. Chi finanzia attività economiche con azioni e obbligazioni deve sapere che corre un rischio. I veri errori sono due. Se chi ha venduto il prodotto non ha avvisato correttamente del rischio. E se chi ha comprato non ha diversificato il suo portafoglio. Non si puntano tutti i propri averi su un solo cavallo. La diversificazione del rischio è il principio basilare dell’investimento che insegniamo in università. Purtroppo il livello di educazione finanziaria del Paese è molto basso. E oggi è nostra responsabilità di cittadini avere un livello di educazione finanziaria più elevato”.

Un cliente inesperto da noi può essere indotto, artatamente, a sottoscrivere un titolo rischioso, con la scusa che ha “firmato la Mifid”. Perché non separare la profilazione di rischio dall’investimento vero e proprio tramite un ente indipendente da tutte le banche e finanziarie?
“Questo è un punto fondamentale. I risparmiatori trovano normale andare a chiedere consiglio sugli investimenti a un dipendente di una determinata banca come se parlassero con il loro padre spirituale. Ma se io vado in una concessionaria di una certa marca e chiedo un consiglio su quale macchina comprare quale consiglio pensa che riceverò? Muovere verso consulenti indipendenti è fondamentale”.

C’è il balletto delle responsabilità: da una parte Banca d’Italia che non avrebbe controllato abbastanza; dall’altra la Consob che non avrebbe vigilato sulla bontà dei singoli titoli ed emissioni. Alla fine nessuno sarà responsabile?
“C’è da tener conto che esiste anche un’altra attenuante. I titoli bancari erano effettivamente meno rischiosi prima dell’avvio del bail-in, di fatto già partito con questa storia. In quanto si pensava godessero dell’opzione di salvataggio implicito da parte dello Stato. E magari i consigli dati al momento dell’acquisto risentivano di questo. L’introduzione del bail-in li ha resi di fatto più pericolosi”.

A proposito del “bail in” cioè il salvataggio di banche in crisi a carico di azionisti, obbligazionisti e clienti, entrato in vigore dal 1° gennaio: si apre una nuova era, di che tipo?
“E’ un’era in cui i proprietari di azioni, obbligazioni subordinate, obbligazioni ordinarie e conti correnti per la parte eccedente i 100mila euro saranno chiamati a coprire nell’ordine indicato le perdite in caso di fallimento bancario. Non rischiano nulla, invece, i correntisti con depositi sotto i 100mila euro”.

Non si potrebbe pensare a una legge che obblighi alla diversificazione degli investimenti così da abbassare il rischio per la clientela minuta?
“E’ un argomento interessante. Sarebbe un intervento ‘paternalistico’ e un limite alla libertà di scelta ma senz’altro una regola utile per evitare i casi più dolorosi. In fondo anche il sistema  pensionistico nato nel dopoguerra ha seguito la stessa logica: obbligare il lavoratore ad accantonare somme che saranno conferite solo alla fine della vita lavorativa per evitare che la mancanza di autodisciplina nel risparmio impedisse di mettere da parte il necessario per il periodo della pensione”.

Ora si parla anche di una altra decina di banche di credito cooperativo piccole che potrebbero fare la stessa fine. E’ in arrivo un’altra “mazzata” sul sistema bancario?

“Il sistema del credito cooperativo ha meccanismi di solidarietà interna dove le banche migliori contribuiscono in caso di dissesto di quelle peggiori. La verità è che esistono banche ben gestite e banche mal gestite e che molto dipende dalla qualità dei vertici”.[/toggle]

[toggle title=”Non salviamoli”]
Secondo Nazzareno Gabrielli, vicedirettore generale di Banca Etica, il decreto “salva banche” fa invece pagare tutti i risparmiatori e riduce  la possibilità di credito a famiglie e imprese.
Le quattro banche salvate non sono banche grandissime quindi se fallissero non sarebbe a rischio il sistema bancario italiano. Ma hanno interessi in diverse regioni” afferma Gabrielli. 
“Queste banche sono in uno stato di forte crisi per vari motivi, ma innanzitutto per una gestione non attenta della propria attività e per scelte strategiche quanto mai sbagliate”.
Il decreto “salva-banche” stabilisce che la liquidità necessaria a ripianare il buco delle banche sia presa dal fondo di risoluzione, un fondo che è istituito quest’anno sulla base di una direttiva europea. Cosa c’è secondo lei di sbagliato?
Si tratta di un fondo che dovrebbe servire per risolvere le crisi di banche sistemiche (il cui fallimento metterebbe a rischio il sistema). Le banche – le altre banche, tutte e non solo quelle ‘sistemiche’ – sono già state chiamate a versare la loro prima quota a questo fondo, ma il decreto impone dei versamenti aggiuntivi per costituire la provvista necessaria al salvataggio. Una banca come Banca Etica ha versato 130.000 euro ma dovrà aggiungerne altri 350.000 quest’anno e 390.000 l’anno prossimo. Sono costi secchi e quindi minori utili. Perché devono versare anche banche piccole che mai avranno beneficio dall’utilizzo di questo fondo (è destinato solo alle banche grandi)?  È un po’ come pagare un premio assicurativo per una polizza che non mi coprirà mai in caso di danno o incidente! Per una banca che non distribuisce dividendi l’utile diventa capitale sociale, rinforza la banca e le consente di poter fare credito ai propri clienti (per un euro di capitale si possono erogare circa 12 euro di prestiti). Quindi quasi un milione di minor capitale in due anni si traduce in 12 milioni di credito in meno. Equivale a minori risorse per lo sviluppo e la crescita dell’economia reale (complessivamente 3 miliardi necessari al salvataggio significano 24 miliardi in meno di possibili crediti). C’è poi un altro aspetto”.
Quale?
“Il versamento al fondo è obbligatorio e non volontario. Ma allora che differenza c’è con una eventuale tassa a carico delle banche che poteva essere istituita dallo Stato? Non è forse un aiuto di stato camuffato? Siamo al film già visto con la crisi dei sub-prime in cui le perdite dei colossi bancari e finanziari mondiali vennero assorbite da tutti i cittadini con interventi pubblici (ma gli utili degli anni precedenti erano entrati nelle tasche dei proprietari)…la privatizzazione degli utili e la pubblicizzazione delle perdite! Quella volta accadde in Europa e negli USA ma prima o poi arriviamo anche noi e non impariamo dagli errori degli altri”.
Dunque da questa vicenda perderanno tutti i risparmiatori?
“Se io sono un risparmiatore che si è ben guardato dal mettere i propri risparmi con una banca dissestata dovrò comunque subire, in qualche modo, gli effetti del salvataggio perché la mia banca dovrà recuperare il maggior costo imposto con questa norma governativa. Se io sono un cittadino che ha bisogno di credito potrei non poterne ricevere perché il minor patrimonio che la mia banca avrà per effetto dei versamenti fatti a vantaggio delle quattro banche si traduce in minori possibilità di credito”.

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[toggle title=”Obbligazioni subordinate”]

In quali prodotti avevano investito i risparmiatori danneggiati dal fallimento delle quattro banche? Quali rischi hanno corso? Tutto quello che c’è da sapere sulle obbligazioni “junior”

Nei fogli sottoscritti (il famoso profilo di rischio, composto da numerosi fogli, quelli che spesso tutti firmiamo in banca senza leggere, in pratica sulla fiducia, anche perché di non facile comprensione) c’era scritto “rischio medio-basso”. “Ci siamo fidati del direttore di banca, è un investimento sicuro diceva…”, “Mi fido di quello che mi dicono le persone allo sportello”, sono solo alcune delle reazioni dei clienti, conseguenti alla perdita dei propri risparmi a causa del recente fallimento di quattro istituti di credito: Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e Cari-Ferrara.

Ma dove avevano investito questi risparmiatori “traditi”, certamente su consiglio dei funzionari di banca, molti colpiti anche loro per aver sottoscritto, non senza pressioni dall’alto, gli stessi titoli? Nelle obbligazioni subordinate, altrimenti dette anche “junior”, per distinguerle da quelle non subordinate chiamate “senior”. Con le prime si prende un po’ di più (si è parlato di un tasso lordo tra 3,5 e 5%, in un periodo in cui un Btp a dieci anni ha un rendimento lordo di 1,36%) ma il rischio, come si è visto, è anche maggiore. Cosa sono e perché sono diverse dalle altre obbligazioni “normali”?

Le obbligazioni subordinate sono titoli emessi, in questo caso, dalle banche in questione, in altre occasioni da aziende, a rischio elevato perché, in caso di dissesto, il loro rimborso viene dopo tutti gli altri creditori, come obbligazionisti ordinari, depositanti e fisco. Se alla fine non resta niente, si perde tutto. In questo senso, questi prodotti sono molto simili alle azioni. Quindi non a rischio medio-basso, ma piuttosto medio-alto. In particolare, scrive Soldionline, “il rischio di credito è elevatissimo per le obbligazioni di tipo Tier 1 e per alcuni Upper Tier 2, che possono prevedere la cancellazione delle cedole e di parte del capitale, senza che si debba giungere ad una vera e propria insolvenza dell’emittente”. 

Molte obbligazioni subordinate non hanno una vera e propria data di scadenza, ma l’emittente può richiamarle, quindi rimborsarle in anticipo, in certe date (in gergo: opzione “call”). Senza nessun obbligo, però, anche se potrebbero farlo. 

In altri casi, le banche sono state salvate dall’intervento pubblico, come è capitato ad istituti inglesi e tedeschi, ma i sottoscrittori di obbligazioni subordinate hanno perso tutto lo stesso.

La mancanza di una vera e propria data di scadenza è molto importante, perché senza sapere quando un titolo sarà rimborsato è molto difficile calcolare il rendimento dell’investimento, e il rischio diventa molto grande. In questo caso bisogna essere consapevoli di fare un investimento a lungo termine, come per l’acquisto di azioni.

Un secondo aspetto di cui tenere conto, un po’ legato al primo, riguarda la liquidità, cioè la possibilità di venderle. Siccome ogni emissione ha caratteristiche proprie – quindi non sono tutte uguali – il mercato è ristretto e a volte, soprattutto in periodi di incertezza, può perfino non esistere. E se nessuno compra, non si può nemmeno vendere, per rientrare in possesso dei propri denari.

Dei bond subordinati esistono 4 distinte tipologie:  Tier 1, Upper Tier 2,  Lower Tier 2 e  Tier 3. La loro rischiosità è, per così dire, decrescente.  Tutti sono comunque rimborsabili solo dopo le obbligazioni ordinarie  “senior”.   [/toggle] [/toggles]

Sul tema scende in campo anche la Lega Consumatori delle Acli.  “Dalle prime notizie apparse sulla stampa – spiegano gli avvocati Emanuele Magnani e Alessandro Totti– riteniamo che possa essere attivata una azione a favore di tutti coloro che sono interessati da questa vicenda, innanzitutto per ottenere tutte le informazioni e i chiarimenti del caso, e poi per essere assistiti e rappresentati nelle trattative, o, in un’ultima istanza, nelle cause, volte a ottenere un risarcimento dei danni subiti. Vi sono numerosi responsabili in queste vicende, dagli ex vertici delle Banche interessate, sino agli organi di vigilanza”. Secondo i legali occorre che tutti coloro che sono interessati da questa vicenda si riuniscano, per alzare il livello della voce e avere maggiore forza nei confronti delle istituzioni e dei responsabili. E’ possibile contattare la segreteria della Lega Consumatori di Rimini c/o le Acli, allo 0541/784193

Alessandra Leardini