C’è un luogo comune che vuole che, soprattutto in periodi difficili, ridere sia ancora più importante e salutare. Lo sanno anche i capi di stato: un paio di quelli europei più prestigiosi, ad esempio, se la sono spassata in una recente conferenza stampa in cui si parlava del nostro divertente paese. Ma ridere, e far ridere, è una cosa seria. Se guardare partite e partite di calcio non ci fa dei bravi calciatori, così guardare Zelig o leggere le vignette della Settimana Enigmistica non ci rende automaticamente bravi comici. E invece oggi Facebook, solleticando il nostro ego, ci dà l’illusione di poter essere dei gran simpaticoni. Col rischio di venire sommersi da cose che non fanno per niente ridere: dopo la morte di Gheddafi, ad esempio, son circolati post davvero di pessimo gusto. Così come, dopo la tragica morte di Simoncelli, la famigerata Nonciclopedia, parodia online della Wikipedia, si è lanciata in battutacce di bassa lega in nome di un distorto diritto alla satira. Qualcuno si è inevitabilmente indignato, ma forse non è la reazione più opportuna. Con internet la quantità di messaggi in circolazione si moltiplica e lo standard della decenza inevitabilmente si abbassa. Virtù e vizi del progresso, c’è poco da fare: passi indietro sono ormai impensabili. E allora la miglior risposta per chi pretende di essere divertente è l’indifferenza. Se volete essere carogne con chi non vi va a genio, rimanete impassibili alle sue battute. O non cliccategli “mi piace” su Facebook. Ridere è un nostro diritto, ma non un dovere: quando è il caso, non facciamoci due risate.