Il grande viale alberato che conduce all’Abbazia delle Tre Fontane a Roma s’illumina di una luce dorata nel meriggio. In questo luogo, secondo la tradizione, Paolo ricevette il suo martirio. È lui stesso che, con passo sereno e amico, ci conduce verso la severa chiesa cistercense in cui i monaci Trappisti elevano con tutta la loro vita lode a Dio.
“Sono sempre molto ammirato della vita dei monaci. – dice San Paolo – Ai miei tempi ovviamente non esistevano ancora queste forme di vita cristiana. Certo anche noi vivevamo momenti di ritiro alcuni anche molto intensi e lunghi, ma poi venivamo rigettati nell’evangelizzazione e nella predicazione della Parola. Ciò che queste comunità oranti ci insegnano è come nessun cristiano possa essere solo: anche se la tua vita trascorre nel ritmo del lavoro e del silenzio della preghiera non sei mai «tu» soltanto, ma intorno a te c’è sempre una comunità, cioè la chiesa. Anche per noi avvenne così: la missione scaturì non da un’idea mia e di Barnaba (anche se io avevo addosso una gran voglia di portare il vangelo a tutti) ma da un mandato della nostra comunità di Antiochia avvenuto attraverso una parola dello Spirito Santo (Atti 13,1-3). <
Come andò quel primo viaggio missionario? Come vi organizzaste?
“Mica avevamo i vostri manuali di teologia pastorale! In quel primo viaggio dovemmo mettere a punto molte cose. Ci fu subito chiaro che dovevamo andare nei grandi centri per poi irradiare la missione anche nelle campagne: l’importante era da subito formare dei collaboratori e lo Spirito Santo non era avaro nel farci incontrare persone buone e capaci. Poi decidemmo di interpellare prima i giudei e poi i pagani. Non era solo per motivi patriottici: ci sembrava che i primi ad ascoltare l’annuncio del Vangelo dovessero essere i nostri fratelli del popolo eletto. In terzo luogo cercammo subito di mettere in «rete» le comunità. Soffro nel vedere che anche oggi c’è tanto campanilismo tra le comunità, tra le parrocchie, o i vari gruppi ecclesiali. Ho faticato tutta la vita a far sì che le comunità da me fondate si scambiassero continuamente i doni ricevuti dal Signore, da quelli più materiali a quelli più spirituali. Siamo un unico corpo: il corpo del Signore!”.
Leggendo gli Atti degli Apostoli ai capitoli 13-14 si vede che ve ne capitarono di tutti i colori. Ad esempio a Iconio nella Turchia sud orientale…
“Sì là ci presero per due dèi: io ero Mercurio (Hermes) perché – dicevano – ero il più chiacchierone, mentre Barnaba con la sua barba fluente fu preso per Giove (Zeus – Atti 14,8-18). Ci avevano attribuito la divinità perchè attraverso la nostra preghiera uno storpio era guarito. Successe un pandemonio in quanto il sacerdote del tempio di Zeus (un tempietto di periferia… con pochi devoti) avendo fiutato l’affare, si era portato alla porta della città con due tori e le corone di alloro: voleva lì, seduta stante, fare un sacrificio a noi due. Ce n’è voluto per convincerli che eravamo due mortali, ma quando cessarono da tutto quel baccano (pensate ai tori che muggivano e alla folla che voleva ancora miracoli) riuscimmo a fare un buon annuncio. Che volete, la missione è fatta anche così… ci sono occasioni da non perdere!”.
Ma le persone come vi accoglievano? E voi come creavate l’occasione per il dialogo dell’evangelizzazione?
“Bhè… con gli ebrei il dialogo avveniva a livello teologico e sulle scritture, alcuni aderivano alla nostra proposta, altri no. Con i pagani invece bisogna tener conto che il popolino era pervaso da proposte di mille ciarlatani, un po’ come avviene per il vostro mondo… (Paolo sorride) basta aprire la televisione: maghi, fattucchiere, cartomanti, sogni, numeri del Lotto, cure dimagranti… Ad esempio a Cipro (Atti 13,4-12) un Mago, falso profeta giudeo, di nome Elimàs Bar-Jesus, era al seguito del proconsole Sergio Paolo, il quale volentieri ci ascoltava parlare del vangelo e di Gesù. Ma quel mago da strapazzo era geloso e aveva paura che gli avremmo portato via… il pollo da spennare. Che persone false! Ma io non avevo paura, e confidando nello Spirito gliene dissi di ogni sorta: lo chiamai pieno di ogni frode e malizia, nemico del Signore, pieno di cecità… ed ecco divenne proprio cieco! Il proconsole riconobbe che quell’uomo era un ciarlatano e aderì al cristianesimo. Ma mica andava sempre così. È chiaro che la proposta di una salvezza gratuita e legata ad un Dio di amore, che si fa uomo e soffre per noi, destava molta meraviglia. Il difficile era dire che quel Dio era morto in croce! La croce era un supplizio atroce (e molte volte si doveva passare davanti a quei poveretti crocefissi fuori dalle porte delle città) ma soprattutto era un supplizio vergognoso, riservato ai peggiori malfattori. Come faceva Dio a coprirsi d’infamia? Del resto anche ai vostri tempi… Fa comodo un Gesù grande filosofo e buon maestro di un cristianesimo amato e rispettato dalla buona società… ma molti di un Gesù servo e di un cristianesimo del servizio e della croce non ne vogliono sapere. Guardate, è proprio qui il punto nodale, se non si accetta la croce non si accetta Gesù ed il nostro cristianesimo diventa una delle tante salvezze fai-da-te che non salvano perché non accolgono il dono di Dio ma vogliono dire a Dio come ci deve salvare. L’ho scritto a chiare lettere nel capitolo terzo della mia prima Lettera ai Corinzi, e ve lo riassumo con le parole di una Santa dei vostri tempi, Santa Vincenza Gerosa: chi sa il crocifisso sa tutto! Non è una teologia della sofferenza, è una teologia dell’amore: Dio ci ha amati così”.
Come si chiuse questo primo viaggio missionario?
“Purtroppo non si chiuse benissimo. La gioia fu turbata per la venuta ad Antiochia di alcuni giudeo-cristiani da Gerusalemme, i quali sostenevano la necessità di imporre ai convertiti dal paganesimo l’osservanza delle pratiche rituali giudaiche, primo tra tutte la circoncisione.Non si trattava solo del rispetto delle tradizioni – passi -, ma si anteponeva l’alleanza nella carne a quella realizzata da Gesù nello Spirito. Per questo motivo mi recai a Gerusalemme con Barnaba per consultare Pietro e Giacomo nel famoso incontro che fu chiamato anche (forse con un po’ troppa enfasi ecclesiastica) «Concilio di Gerusalemme>>. Il problema era assai rilevante: a quali condizioni i pagani potevano entrare a far parte della Chiesa di Cristo e sperare nella salvezza? Bastava solo la fede in Gesù Cristo o dovevano farsi circoncidere? La comunità di Gerusalemme si comportava secondo lo stile di vita giudaico; la Chiesa di Antiochia accoglieva i pagani senza chiederne la circoncisione; così anche nelle comunità di recente fondazione. Il concilio riconobbe la prassi missionaria della chiesa di Antiochia e quindi nostra. La risoluzione presa, di non imporre ai pagani convertiti l’osservanza delle prescrizioni giudaiche, fu chiaramente l’inizio della definitiva separazione tra il cristianesimo ed il giudaismo. In quella medesima circostanza mi fu riconosciuta ufficialmente la missione di «Apostolo dei pagani»… ma le tensioni non erano del tutto risolte… ne parleremo la prossima volta.
(5 – continua)
a cura di G. Benzi