Al Teatro Verdi di Pisa è andato in scena “Il Girello” di Jacopo Melani con la direzione di Carlo Ipata e le marionette di Eugenio Monti Colla
PISA, 3 dicembre 2017 – Faceva un certo effetto vedere i marionettisti della sua Compagnia in azione e pensare che solo pochi giorni prima, il 21 novembre, Eugenio Monti Colla se n’era andato per sempre. Il Girello, opera pressoché dimenticata di Jacopo Melani (1668), è così andata in scena a Pisa – replica della prima moderna di Pistoia del marzo scorso – senza il suo ideatore registico. Era stata una scelta lungimirante quella di affidare a marionette la riproposizione di questo titolo dimenticato (che a suo tempo godette però di grande fama e fu rappresentato in numerose città), motivata anche da una versione veneziana del 1682, concepita proprio per “fantoccini”: inevitabile, così, non pensare all’ultimo esponente della gloriosa famiglia Colla, dinastia di marionettisti già attiva a fine settecento.
Autore del libretto è il nobile Filippo Acciaiuoli che si cimenta in una palese satira dei potenti, ossia di quella classe sociale che meglio conosceva, direttamente dall’interno. Il poeta conia versi che si avvalgono di una lingua bellissima e colta, ricca di affascinanti citazioni alte e latine, abilmente usate in senso comico, e caratterizzata da esilaranti doppi sensi, quando non da allusioni del tutto esplicite. Protagonista dell’intricata vicenda è il giardiniere Girello, vessato dai nobili personaggi cui presta servizio, e che a un certo punto – per un magico stratagemma – riesce a spacciarsi per il Re di Tebe. Allora farà mettere in prigione chi prima lo bastonava e gli disonorava la moglie, ma l’immancabile agnizione ricollocherà ruoli e personaggi al posto giusto.
La musica di Melani, capace di muoversi su un’ampia varietà di registri, oscillanti dal comico al patetico fino a sconfinare nel drammatico, esalta la varietà di un’opera che non conosce mai un attimo di cedimento. L’identità con i caratteri della commedia dell’arte, ben leggibile in alcune situazioni – basterebbe pensare al balbuziente guardiano della prigione che, non a caso, si chiama Tartaglia – ha suggerito al regista di raffigurare alcuni personaggi come le maschere della commedia dell’arte: lo stesso Girello ricordava Arlecchino e i due consiglieri di corte, Filone e Ormondo, evocavano Pantalone e il dottor Balanzone. Anche sul versante femminile viene immediato pensare alle tante Colombine o Rosaure di cui è ricca la tradizione.
Le marionette si muovevano nel piccolo teatro collocato al centro del palcoscenico del Verdi, con i loro coloratissimi e fastosi costumi, creati appositamente dallo stesso Colla, mentre i continui cambiamenti di fondale (le magnifiche scene dipinte provenivano dal repertorio storico della Compagnia) scandivano il variegato andamento drammaturgico di questo dramma burlesco.
Lo spettacolo è un piacere per gli occhi e le orecchie. Il merito va anche alla sicura direzione di Carlo Ipata, che – a capo dell’ottima Orchestra Auser Musici – ha valorizzato il versante sonoro, imprimendo grande slancio alla musica, senza mai esitazioni, e sottolineando i contrasti tra gli aspetti comici e drammatici della vicenda. Solo cinque gli interpreti, che – cantando a leggio – hanno potuto dare voce a più personaggi. Nei panni del protagonista Girello (come pure in quelli del Mago, usando il semplice accorgimento di un cono di cartone, simile a un megafono, per suggerire l’idea di una voce proveniente da lontano) il basso Giorgio Marcello: dopo un avvio un po’ incerto, soprattutto sul piano ritmico, è andato progressivamente assestandosi nel corso della recita, disegnando un convincente protagonista. Ottimo soprano, per sicurezza, precisione e mezzi vocali, si è rivelata la giovane Jennifer Schittino, nei panni della nobile Doralba e della regina Erminda. Sempre sicuro e preciso anche il controtenore Riccardo Angelo Strano, interprete di Mustafà; assai brillante il tenore Alberto Allegrezza – talvolta impegnato anche al flauto dolce – nelle vesti del balbuziente Tartaglia e della moglie del protagonista, Pasquella: a distanza ravvicinatissima alternava così due voci diverse, ma sempre in modo perfettamente efficace. Solido e sicuro, come si addice a un Re, il tenore Riccardo Pisani.
Pubblico entusiasta e tutto di adulti (la recita per le scuole era stata il giorno precedente): la migliore prova di come la grande tradizione artistica italiana – e questa volta davvero a tutto campo – possa affascinare e riscuotere consenso. Ai collaboratori di Colla va l’augurio che riescano a tenere in vita questo straordinario patrimonio, nel nome del loro capocomico.
Giulia Vannoni