Quello che abbiamo vissuto finora, quello che vivremo fino alla sconfitta definitiva del virus, non è il tempo del frattempo: il passato è stato così, il futuro sarà diverso e nel frattempo siamo qua. Quello che viviamo è il qui ed ora, è la vita, con tutte le regole del gioco, con la quale fare i conti con senso, capacità di adattamento, esigenze, cuore.
Comprendendo che persino alcune delle regole imposte, non abbracciavano alcuni bisogni primari dell’uomo e del vivere relazionale”. Vittoria Maioli Sanese, psicologa della coppia e della famiglia, ha fondato nel 1970 il Consultorio Famigliare (associato UCIPEM) di Rimini, di cui è tuttora direttore. Ha svolto e svolge da oltre 40 anni un lavoro di ricerca sulla coppia e sulla famiglia dal punto di vista psicologico, esistenziale, sociale, culturale e antropologico. È autrice di fortunati libri, tra cui. La domanda. Come vento impetuoso, Ho sete, per piacere. Padre, madre, figli, Perché ti amo. Un uomo, una donna, tutti editi da Marietti La fase 2 che non sembra ancora farci uscire dal tunnel, la vita delle famiglie stravolta, l’estenuante minaccia di un ritorno del Covid-19, il rapporto tra genitori e figli, e con i figli più piccoli. Vittoria Maioli Sanese accetta di discutere a voce alta alcune tematiche cruciali intaccate dal Coronavirus, e racchiuse nell’universo delle relazioni.
Che tempo è stato quello dell’emergenza per le famiglie? Quali le fatiche maggiori e le opportunità? Quali tipi di famiglia hanno sofferto di più?
“Il giudizio negativo o positivo dipende sempre da come noi guardiamo le cose, ma andare alla ricerca del senso e scoprirne l’esigenza profonda rispetto a quello che viviamo è importante.
Indubbiamente questo tempo di emergenza e di clausura ha posto a tutte le famiglie di fronte ad alcuni interrogativi.
Ci ha tolto tante sovrastrutture: sulle nostre sicurezze, circa le abitudini, in maniera più potente ci ha posto faccia a faccia con noi stessi. Ci ha ‘ripulito’ e questa operazione non sempre e non per tutti è senza dolore, senza sofferenza o senza fatica.
Ma entrare in rapporto con se stessi e in maniera più profonda è arricchente.
E in famiglia ha fatto emergere nel bene e nel male di più tutto ciò che significa essere in relazione.
Come ha scritto Salvatore Abruzzese su il Sussidiario: da una parte in questo tempo siamo stati inondati di regole, dall’altra siamo rimasti soli ad affrontare il punto costituivo dell’essere in relazione, che è l’ambito della famiglia.
L’emergenza poteva comunque essere una bella occasione per andare a fondo sul senso della relazione”.
Alla ripartenza, e in attesa di conoscere più da vicino la Fase2, sono tante le questioni che preoccupano.
“Rispetto alla famiglia sono così molteplici che è persino difficile stabilire quali siano prioritarie: il lavoro, l’aspetto economico, la casa.
Questa prolungata costrizione (imposta, non scelta) tra le mura casalinghe, ad esempio, ha permesso di considerare, ad esempio, anche il valore degli spazi e della casa.
Fino al ritiro causato dal Coronavirus, la famiglia viveva e si appoggiava per la gran parte all’esterno: scuola, sport, corsi, il passaggio alla piadineria o in pizzeria per la cena. E non di rado in casa il vissuto dei figli era spesso lo smartphone o la playstation. Tutto ciò è improvvisamente venuto a meno e le persone sono state ributtate a vivere all’interno di una casa che – spesso in presenza di figli piccoli – non era pronta ad essere abitata 24 ore su 24, a volte case dormitorio dove la cucina è ridotta ad angolo cottura.
In definitiva, sono stati toccati tutti gli aspetti che implicano la famiglia. Ciò è positivo perché fa ripensare alle risorse che si hanno a disposizione, ma rappresenta altresì un momento di criticità”.
“Se un bambino vive all’interno di un rapporto con un adulto consapevole del proprio compito generativo, di trasmissione della sicurezza, che sa guardare la realtà e la sa trasmettere senza timore di avere paura, persino della propria angoscia o del proprio smarrimento, se un bambino ha accanto a sé un adulto del genere non c’è problema.
I bambini soffrono quando l’adulto è smarrito. È dunque fondamentale ritrovare il senso dell’adultità”.
La famiglia (come al solito) ha fatto da “ammortizzatore sociale” della crisi…
le mamme lo hanno fatto della famiglia. Quali fatiche e rischi possono esserci per questo super-lavoro?
“La donna ha assunto un ruolo ancora più faticoso di quello che già viveva.
Mamme, moglie e lavoratrici, le donne si sono trovate a portare un doppio peso, un carico enorme: l’aiuto nei compiti dei figli e l’accompagnamento nella didattica online, l’organizzazione del tempo libero, la spesa con i tempi dilatati, preparare pranzi e cene. Molte donne stanno andando in crisi.
I figli sono diventati un grande lavoro, a cui la donna non era abituata: per buona parte della giornata erano delegati alla scuola, dal nido in su, e ai nonni.
Vivono affaticamento e un senso di solitudine. Come se non venisse fino in fondo riconosciuta la grande fatica a cui sono chiamate e il grande lavoro che stanno svolgendo. Come se fosse tutto scontato”.
Forse sono più d’uno gli aspetti erroneamente considerati lapalissiani… “C’è un aspetto che mi preoccupa e sono professionalmente ‘curiosa’ di capirne gli effetti.
Lo sostenevo già da qualche tempo: all’interno della famiglia si notava l’assenza, era sparito l’amore come criterio per affrontare della vita. Erano presenti i grandi sentimenti, il volersi bene, legami, ma non l’amore utilizzato come metodo per vivere. Non l’amore criterio per il modo di parlarsi, di guardarsi, di risolvere le questioni, perfino quale metro per interpretare gli accadimenti.
Siamo bravi a trasformare la famiglia in un tribunale, dove vivono rapporti di giudizio. Oppure assistiamo al dilagare di una definizione del genitore come coach, allenatore: terribile.
In famiglia avanza la ricerca di prestazioni senza errori, efficaci e perfette, di risultati da portare a casa, manca invece la possibilità di fare qualcosa per amore al mio esistere e all’esistere dell’altro fino a farlo diventare metodo. Questa è una grande crisi”.
Genitori e figli piccoli: come comportarsi al tempo del Coronavirus di fronte a notizie e dialoghi sempre molto imperniati sul Covid-19 e sul mondo che ne uscirà?
“Nell’immediato dopoguerra (sono nata nel 1943), ricordo perfettamente i dialoghi di genitori, nonni e adulti a tavola: erano tutti imperniati sulla guerra. Rammento la scoperta dei campi di concentramento in Germania, e l’orrore che ne era derivato in casa.
Non mi è stato risparmiato nulla, nessuno ha pensato che fossi troppo piccola per discorsi del genere. Difatto capivo e sentivo quello che potevo capire ma intorno a me vivevano adulti che avevano affrontato quella realtà tragica.
Più il bambino si sente protetto, più intuisce che c’è un nemico così potente di cui anche i genitori hanno così tanta paura tanto da non poterne parlare. La protezione non dà sicurezza ma produce, al contrario, angoscia e insicurezza. Meglio affrontare la verità, anche quella della propria fragilità e della propria fatica: il bambino è sempre più rassicurato.
Come parlare ai bambini? Ho esclusivamente un criterio, al quale invito i genitori: immedesimatevi, come vorreste essere trattati? Il bambino ha le stesse esigenze di dignità, di correttezza, di verità dell’adulti. Forse siamo noi adulti per primi a vivere l’insicurezza. E quando trattiamo male i bambini trattiamo male noi e il nostro compito educativo”.