Anche quest’anno, in occasione della riapertura delle scuole, ai ragazzi dell’Istituto Tecnico Commerciale di Santarcangelo è stata illustrata la figura di Rino Molari, a cui è intitolata la scuola. Quest’ultimo ricordo è avvenuto nel 75° anniversario della morte, avvenuta per mano dei nazisti nel poligono di tiro di Cibeno nel 1944.
Era un professore di lettere Rino Molari ma, innanzitutto, era un antifascista. Fu lui a fondare a Santarcangelo il primo Comitato di Liberazione Nazionale, e fu lui che – difendendo e diffondendo le sue idee contrarie alla dittatura – non permise ai suoi alunni di prendere parte ai festeggiamenti, nell’autunno del 1939, per l’invasione della Polonia da parte dei tedeschi. Il fatto fu riportato nel suo fascicolo personale e depositato presso il Provveditorato agli Studi. Probabilmente anche questo contribuì alla stesura del suo ‘curriculum’ – quale persona avversa alla dottrina fascista – che, in seguito, determinò il suo arresto.
L’arresto e l’ultima lettera
Fu bloccato a Riccione il 27 aprile 1944 e trasferito a Bologna, il giorno dopo, nel carcere di San Giovanni in Monte. Dopo circa 40 giorni, il professore venne portato nel campo di Fossoli. Il 7 giugno, giorno successivo all’arrivo, scrisse alla moglie una lettera dettagliata sulle sue condizioni (che risultò poi essere anche l’ultima spedita): “…capelli a zero, sto però molto bene. E due triangoletti di tela rossa col numero 1406 cuciti sui pantaloni. Ho cambiato in meglio, mi aggiro contento per gli immensi cortili di questo campo. A Bologna veramente mi annoiavo, sempre chiusi in cella… Ho nuovamente con me tutti gli oggetti… mancate solo tu e Gabrielino. Non pensate a me se non per pregare…” .
La destinataria era la giovane Eva Manenti, presa in sposa solo poco più di due anni prima (nella foto), il 6 aprile del 1942 a Mercatino Marecchia (l’attuale Novafeltria) e Gabrielino era il loro primo e unico figlio nato circa a un anno dal matrimonio, il 17 marzo 1943. La lettera arrivò con un ritardo di due anni e la moglie dovette solo immaginare, per tutto quel tempo, come fossero lunghe le giornate per Rino nel campo, scandite – come il marito riportò nello stesso scritto – da ritmi incessanti: sveglia al mattino presto, due adunate, pasti e caffè ad orari prestabiliti e ritiro alle 21.45 nelle grandi baracche che ospitavano circa 120 persone.
Il triste epilogo
Un giorno, il nome del Professore finì nell’elenco dei prigionieri da eliminare. Rino Molari era ritenuto estremamente pericoloso e così, quel maledetto 12 luglio 1944, i tedeschi lo fucilarono assieme ad altri 66 compagni. I loro corpi straziati vennero gettati in una fossa comune e coperti di calce. La notizia dell’esecuzione non fu immediata. I poveri resti vennero riesumati solo a metà del maggio dell’anno dopo. Fu proprio la moglie Eva a riconoscere il marito, grazie a qualche oggetto personale rimastogli inspiegabilmente addosso. La famiglia non volle aspettare i funerali solenni che si sarebbero tenuti il 24 maggio a Milano, ma decise di far ritornare le spoglie di Rino subito a casa e celebrare il funerale nella sua Santarcangelo. Fu un dolore profondo quello della moglie, dei famigliari e degli amici.
Il diario inedito
L’intera città, in realtà, soffrì per la morte del Professore, piccini compresi. È di poche settimane fa il ritrovamento, da parte di chi scrive, di una pagina di diario di Luciana Ronchi – una ragazzina che a quel tempo frequentava le scuole elementari – conservato dal santarcangiolese Alfonso Marchi. Il testo, che scegliamo di trascrivere per intero, è datato 21 maggio 1944 e riporta: “Il 19 maggio arrivò con un camion la salma di Rino Molari. Venne ucciso anno scorso con la mitraglia a Carpi, in un campo di concentramento. Il feretro lo misero in un’aula della scuola, con molte corone e bandiere. C’erano molti manifesti che esaltavano le virtù di Rino Molari. Era un professore di belle lettere ed era anche una buona persona. C’erano tutti i parenti, la mamma e la moglie, che aveva con sé un figlio… La moglie e quel figlioletto facevano pena, lei era rimasta senza marito e lui senza padre. Lo portarono nella chiesa e ascoltammo la Santa Messa. Il dopopranzo lo portarono al cimitero. Quando arrivammo, tennero un bellissimo discorso… Tornammo a casa molto addolorati, pensando alla fine del martire Rino Molari”.
A dolersi ancora oggi per la perdita, oltre a chi l’ha conosciuto ed è tuttora in vita, è senza dubbio Pier Gabriele, l’amato figlio. All’epoca era talmente piccolo che, forse, non sentì troppo la pesantezza di quel lutto diventato poi negli anni una sofferenza incancellabile. Oggi, ricorda e parla del padre a chi ha avuto la fortuna di non imbattersi nella guerra, a chi non ha conosciuto quell’orrore e impara solo adesso. Racconta, ai ragazzi, che nessuno pagò per l’uccisione di quel grande uomo che fu Rino Molari. Ma che la colpa fu di quel grado infimo di civiltà che si era raggiunto e che non deve ritornare. Mai più.
Roberta Tamburini