Quale sarà il futuro delle parrocchie? Da almeno un decennio anche nella nostra Diocesi è in atto un profondo cambiamento. Le prime sperimentazioni di “Unità pastorali” a Rimini risalgono agli inizi degli anni ’90. Il primo documento diocesano sul tema è del 2004, ma concretamente la riorganizzazione della Diocesi ha avuto inizio nel 2012, con la ripartizione in 27 zone pastorali. Attualmente sono 21, di cui 10 formalmente istituite.
Sul tema si stanno confrontando anche i Vescovi dell’Emilia Romagna. Fra i sacerdoti circola una loro riflessione, che cerca di “organizzare” quanto è maturato nel cambiamento, come consapevolezza, in questi anni.
Rinnovamento improrogabile
La scelta di un “improrogabile rinnovamento ecclesiale” (Papa Francesco) era già definita nei documenti Cei di inizio millennio (si pensi al “Volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia” del 2004), ma a queste indicazioni si affiancano numerosi “attori di cambiamento”: il calo delle vocazioni ecclesiastiche e problematiche connesse (la nostra Diocesi, per esempio, ha 360.000 abitanti, 115 parrocchie, 147 preti ma con un’età media di 64 anni!), l’invecchiamento della popolazione, il calo di “praticanti”, la diminuita incidenza dei principi cristiani nella cultura e nella società, l’interruzione della trasmissione della fede da genitori a figli, inadeguatezza della pastorale ordinaria indirizzata ai praticanti, le trasformazioni socio-culturali e i flussi migratori…
Un aiuto… dalla gravità della situazione
Anche per tutto ciò il momento attuale sembra offrire condizioni favorevoli al rinnovamento della pastorale. “La gravità della situazione rende necessario intervenire. Poi, grazie all’attuale Magistero del Papa, – scrivono i vescovi – il rinnovamento non è colto solo in vista della conservazione, ma come conseguenza coerente al mandato missionario della Chiesa e risposta alle esigenze della storia”.
Ma perché ciò diventi idea comune occorre avviare una preparazione che coinvolga tutto il Popolo di Dio, che è ciò che il vescovo Francesco fa nella sua catechesi e nelle sue frequenti viste alle comunità.
Come pure è già viva la coscienza che fulcro di questa più ampia collaborazione delle parrocchie è la fraternità tra i preti, vissuta in diverse modalità: dalla vita comune ad incontri periodici, dal tempo dato alla preghiera comune, al pasto condiviso e alla progettazione pastorale.
La dimensione liturgica
Coscienti quale importate ruolo gioca la liturgia, i vescovi si interrogano “se sia opportuno favorire liturgie domenicali senza presbitero (per coltivare l’identità della singola comunità), oppure vietarle per convergere in un’unica celebrazione (per coltivare una idea di Chiesa più ampia)”.
Il venir meno dei presbiteri (riduzione delle messe, celebrazioni liturgiche in assenza del presbitero) e la rinnovata ecclesiologia (sottolineatura della centralità di un’unica eucaristia, convergenza verso un unico polo celebrativo), inserita nel contesto del dono sacerdotale dei laici pongono il problema.
In tutte le zone si può pensare a qualche grande celebrazione comune esemplare, in particolari occasioni (sostenute da un coro in cui convergono tutti i cori del territorio) e celebrazioni feriali dislocate a turno.
Le diaconie
Considerando poi i tanti servizi per la Zona pastorale la diocesi di Bologna propone l’esperienza delle “diaconie”, nei diversi ambiti della vita sociale e personale. Si ipotizzano così diaconie per la pastorale della cultura (scuola e università), dei giovani, della sanità, del lavoro, del tempo libero (sport, turismo, arte, spettacolo).
Nuovi soggetti responsabili
Là dove manca il parroco residente si pone il problema di qualche soggetto che possa fare da riferimento per la comunità. Si possono in proposito pensare diverse tipologie: comunità religiose, associazioni, diaconi, ministri, famiglie, équipe…
“Saggia – scrivono i vescovi – appare l’esperienza della diocesi di Vicenza: un gruppo ministeriale, indicato dalla comunità, approvato dal Vescovo, con due anni di formazione obbligatoria e incarico a termine”.
Ma quale sarà il ruolo del “Moderatore”?
Certamente dovrà avere quale caratteristica identificativa la capacità di tessere collaborazioni. Per questo non può essere solo, ma deve essere aiutato da una équipe (di preti, religiosi e laici).
Come partire?
Tre sono le prime indicazioni che vengono date per partire in una collaborazione di Zona: la formazione dei catechisti, i gruppi giovani, la Caritas.
Anche l’ambito liturgico offre già attualmente occasione di convergenza nelle celebrazioni comuni (Triduo pasquale, feste patronali…), che, tra l’altro, possono essere animate da un coro unitario.
a cura di Giovanni Tonelli