Rimini romana – Storia di Rimini, dalla preistoria all’anno Duemila, è l’ultima fatica letteraria dello storico Angelo Turchini, in collaborazione con Ravara Montebelli. Un corposo volume di 570 pagine – edito da Il Ponte Vecchio – che ripercorre le principali tappe storiche della città di Rimini: il passaggio dei romani, i Malatesta, il Rinascimento, l’età moderna, l’Unità d’Italia e il XX secolo. Riprendiamo un passo del volume che parla dei mestieri diffusi a Rimini nel periodo romano.
Intorno alla metà del I secolo d.C. si ha la notizia di un medico riminese Decimus Sempronius Iucundus, di condizione servile, com’era all’epoca la professione medica, poi liberato dal suo padrone, un altro medico di nome Decimus Sempronius Hilarus, abitante a Concordia Sagittaria, oggi Portogruaro, dove i nomi sono eternati in due epigrafi funerarie che ci mostrano anche le sembianze dei due medici. Lo storico italiano Lorenzo Braccesi ritiene che a Rimini ci fosse addirittura una scuola medica, della quale questo medico è uno degli esponenti, motivando con un’antica tradizione, anche di ambito culturale, la presenza proprio a Rimini del medico che operava nella cosiddetta domus del chirurgo di piazza Ferrari, datata alla metà del secolo successivo. Quanto poi ad altre professioni esercitate a Rimini, purtroppo le testimonianze epigrafiche risultano piuttosto scarse d’informazioni. Infatti, oltre alle professioni fin qui ricordate, è noto un cambiavalute, il nummularius, Publio Titius Hilar (Donati, 1981, p.19), liberto non certo un banchiere, perché il suo monumento funerario è costituito da una semplice lastra centinata in pietra locale, con l’iscrizione fatta realizzare quando era ancora vivo e con la rappresentazione schematica del suo banco, con le pile di monete divisionali, disposte in modo regolare per optare il cambio in tutta speditezza. Ancora negli anni ’30 del secolo scorso, nelle città di mare e di transito, si potevano vedere piccoli banchi di cambiavalute del tutto simili, dispiegati sulle strade presso il porto. I nummularii, facevano propriamente il cambio della moneta corrente con i forestieri e non devono essere confusi con gli argentarii, veri e propri banchieri, che ricevevano e gestivano depositi in monete d’oro e d’argento, e che talora facevano anche gli orefici (argentarii fabri). Le indagini archeologiche hanno stabilito la nutrita presenza di professionalità connesse alla produzione figulinaria, sia di vasi di varia tipologia, che di laterizi, le cui fornaci erano localizzate fuori dalle mura cittadine, per ovvi motivi di spazio e di reperibilità della materia prima, argilla, legna ed acqua. Gli impianti produttori più prossimi alla città erano localizzati a Covignano e Miramare, mentre numerosi altri sono stati individuati a Riccione, Santarcangelo e Poggio Berni.
Nelle terre centuriate del suburbio, divise in piccoli apprezzamenti e densamente popolate, dovevano poi trovare posto numerose ville rustiche, nelle quali schiavi e villici, erano impegnati nella coltivazione di grano e vino, le principali risorse del nostro territorio. Un esempio di complesso rustico è quello scoperto negli schiavi del 1979 in località Cava Sarzana, lungo il greto del Marecchia, databile in età augustea e costituito da quattro ambienti contigui pavimentati con mattoncini disposti a spina di pesce (opus spicatum) e mosaico, collegati ad un fitto sistema di canalizzazioni, connesse alle lavorazioni in esse praticate.