I giovani, in rapporto alla popolazione totale, oggi sono la metà del Dopoguerra. Al contrario, nello stesso arco di tempo, gli ultra sessantacinquenni sono triplicati. Quelli con più di settantacinquenni quadruplicati. L’età media della popolazione, solo negli ultimi due decenni, è aumentata di tre anni. Una buona notizia per la speranza di vita (alla nascita: 82 anni per gli uomini e 86 per le donne), ma con qualche conseguenza. Basta pensare alla maggiore domanda di servizi socio-assistenziali e sanitari. Nell’area demografica di mezzo, le persone in età da lavoro (15-64 anni), poi non è detto che siano impiegati, sempre sul totale dei residenti in provincia di Rimini, sono quattro punti percentuali in meno rispetto agli anni cinquanta del secolo scorso. Date le premesse poteva andare peggio, verrebbe da commentare. Poi vedremo come mai. Dei potenzialmente attivi, le persone occupate, parecchi per brevi periodi (stagionali nel turismo), a fine 2022, sono 145.000 e i pensionati più di 87.000. Vuol dire un lavoratore/trice e mezzo per ciascun pensionato. Un rapporto cui prestare attenzione perché sono i contributi di chi lavora a pagare le pensioni. E se i secondi crescono, mentre i primi declinano, i conti non tornano (già sono al limite). Numeri che potrebbero essere ben peggiori se non scegliessero di venire a vivere a Rimini tanti migranti, da altre zone d’Italia e dall’estero. Numericamente i secondi più dei primi. L’immigrazione, per definizione giovane, serve a coprire i vuoti della bassa natalità e dell’invecchiamento delle forze lavoro locali. Un dato per tutti: se su cento residenti di nazionalità italiana 64 hanno l’età da lavoro, la percentuale sale a 77 tra gli stranieri. Dove, al contrario, ad avere più di 65 anni sono meno del dieci per cento e i pensionati appena 2.928, di cui 1.923 cittadini extra UE (Inps, 2021). Se la popolazione provinciale ancora tiene, quindi, il merito è esclusivamente dell’immigrazione, interna ed estera. Perché, senza di loro, tutti gli indicatori demografici di base locale sono negativi, e non da oggi. I nati vivi, in provincia di Rimini, sono scesi da 2.587 dell’anno 2000 a 2.054 nel 2022 (nonostante i nuovi comuni dell’Alta Valmarecchia che ne sono entrati a far parte), di cui, è bene tenerlo a mente, più di trecento da genitori stranieri. Il numero medio di figli per donna a Rimini è di 1.16: il più basso dell’Emilia-Romagna. A livello regionale fanno meglio: Forlì 1.32, Modena 1.37 e Piacenza 1.34. Potrebbe essere una coincidenza, magari no, ma in tutte queste località ci sono più donne che lavorano e più servizi per l’infanzia. Il saldo naturale, la differenza tra nascite e decessi, che era già diventato negativo alla metà degli anni ottanta del secolo scorso, ha continuato a peggiorare nell’ultimo decennio, tanto d’aver superato quota meno duemila. Vuol dire che le persone che muoiono sono duemila in più dei bambini e bambine che nascono. A salvare la situazione, da un punto di vista demografico, resta il saldo migratorio interno (differenza tra chi, da altre parti d’Italia, scegli di venire a Rimini e chi fa il percorso inverso), annualmente positivo per un migliaio di unità, e il saldo migratorio estero (saldo tra chi viene dall’estero e chi, da Rimini, emigra in altri paesi), da oltre un decennio abbondantemente sopra il migliaio annuo. Quasi sempre, quando si parla di migrazione l’attenzione si concentra su chi arriva, tacendo che ogni anno si cancellano dall’anagrafe dei comuni della provincia di Rimini, per trasferirsi all’estero, un migliaio di residenti. Solo nel comune di Rimini, nel primo semestre 2023, se ne sono andati in 267 (contro 220 stesso periodo 2022). In prevalenza sono giovani e laureati, molti partono alla ricerca di migliori opportunità e spesso non tornano. Bisogna dire che nella stessa situazione, per rimarcare che il fenomeno è di più vasta portata, si trovano anche le altre province della Romagna. E non solo loro. Un tema, la bassa natalità e l’assottigliarsi delle fila giovanili, che va posto con un po’ più di impegno, a cominciare da chi governa, anche in sede locale, perché senza forze fresche non solo ci saranno sempre più vuoti nelle aziende, ma qualsiasi tipo di innovazione troverà un freno in una popolazione che invecchiando è meno reattiva al nuovo che avanza. Sull’urgenza di provvedere basta quest’ultimo dato, riferito alla provincia di Rimini: nel 2023, entrano nell’età feconda 1.636 quindicenni, ma ne escono, per superare cinquantenni, 2.905. Va da se che nasceranno sempre meno figli. Salvo un aumento della natalità. Nel 2042, cioè tra meno di vent’anni, si stima che la popolazione in età per lavorare scenderà al 55 per cento del totale, per ogni lavoratore ci sarà un pensionato e il Pil nazionale, per il calo demografico, si ridurrà dagli attuali 1.900 miliardi di euro a 1.600 miliardi. Vuol dire che quando ci sarà più bisogno di risorse, per pagare le pensioni e le cure, queste diminuiranno. I conflitti inevitabilmente cresceranno. Meglio programmare in tempo.