Dopo l’European green deal (Patto europeo per il clima), lanciato dalla nuova presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, che punta a fare dell’Europa, entro il 2050, il primo continente a impatto climatico zero (la cosiddetta neutralità climatica), con l’impegno ad una prima sostanziale riduzione delle emissioni entro il 2030, ci sarà anche un Rimini green deal?
La domanda non è retorica e ha bisogno di una risposta, se tutti i pronunciamenti sulla sostenibilità hanno prima un senso, poi un risvolto pratico, andando al di là del confronto, non senza qualche venatura di pregiudizio, che si è accesa su pale eoliche in mare sì, pale eoliche no (a proposito, è singolare che mentre a Rimini qualche associazione propende decisamente per il no, di fronte a Ravenna, Saipem realizzerà un parco eolico con 56 turbine su fondazioni fisse, con una potenza prevista di 450 MW). Perché la neutralità climatica di cui si parla, che non produce cioè impatto, si può declinare in due modi: azzerando per completo le emissioni di CO2, oppure trovando forme compensative, cioè di assorbimento adeguate, in modo da neutralizzare le conseguenze sul clima. Molto probabilmente ci vorrà un mix delle due misure. Ma è certo che nessuna iniziativa, da sola, sarà sufficiente.
Per raggiungere questo obiettivo l’Europa è anche disposta ad investire risorse importanti (40 miliardi di euro del Just Transition Fund). Ma, come per altri interventi, ci vogliono progetti credibili. La domanda ovviamente interpella tutti, pubblico e privato, governo e opposizione, fautori e contrari a taluni interventi.
Molti avranno letto che nella cittadina russa di Verkhojansk, dove nel 1982 è stata toccata la temperatura più bassa al mondo (-67.7°C), nel giugno scorso si è toccato +38°C, la temperatura più alta rilevata oltre il Circolo polare artico. Un’ennesima dimostrazione che il cambiamento climatico è una cosa seria. Innalzamento della temperatura che scongelando il permafrost (suolo permanentemente gelato) potrebbe liberare 240 miliardi di tonnellate di CO2 (anidride carbonica) entro il 2100, con effetti ancora più devastanti sul clima. Che già, oggi, meglio non dimenticarlo, è causa di migrazioni forzate per più di 16 milioni di persone nel mondo (Commissione Europea).
Ma se gli eventi di questa città lontana possono lasciarci indifferenti è bene tenere presente che le conseguenze del cambiamento climatico ci riguardano molto da vicino. In un volume di Affronte-Natalini-Rossini appena uscito, intitolato Il cambiamento climatico in Romagna, si legge che a Rimini, la temperatura media, è salita da 13.1°C del periodo 1961-1990 a 14°C come media tra 1991 e 2017. E’ aumentata, cioè, di 0.9°C in poco meno di un trentennio. Secondo un’altra ricerca, questa volta di OBC Transeuropa, negli ultimi cinquant’anni, sempre nel riminese, la temperatura è aumentata di 1.42°C. Con il riscaldamento le giornate di gelo sono scese da 39 giorni dei primi anni Novanta a poco più di 24 oggi, mentre le giornate calde da 12 sono diventate 20.
Ci sono conseguenze anche per il mare Adriatico: tra il 1870 e il 2010, il livello dell’Alto Adriatico, è salito tra 1.3 e 2.5 millimetri ogni anno. Vuol dire, continuando questo trend, che ogni dieci anni il suo livello cresce di un paio di centimetri. Che a fine secolo potrebbero diventare più di sedici, con l’inevitabile erosione delle spiagge. Ma questo è uno scenario tutto sommato ottimista, perché alcuni studi parlano di un aumento del livello dei mari, se si lascia che le cose continuino il corso “normale”, che può sfiorare anche i due metri.
Se vogliamo evitare il peggio, e non lamentarci solo delle conseguenze pensando che devono pensarci altri, vanno da subito trovate risposte adeguate. E ciascuno deve fare la sua parte, adottando comportamenti idonei.
Tra le misure, trasversali a più settori, suggerite dalla Commissione Europea, troviamo:
- investire in tecnologie rispettose dell’ambiente
- sostenere l’industria nell’innovazione
- introdurre forme di trasporto privato e pubblico più pulite, più economiche e più sane
- decarbonizzare il settore energetico (molte centrali elettriche utilizzano il carbone come combustibile)
- garantire una maggiore efficienza energetica degli edifici
- collaborare con i partner internazionali per migliorare gli standard ambientali mondiali.
Il che fare non può, però, prescindere da una conoscenza della situazione di partenza, cioè dalla qualità dell’aria, dall’energia consumata e dalle emissioni prodotte in ciascuna località.
Qualità dell’aria e consumi energetici
Cominciamo dalla qualità dell’aria: bisogna dire che la situazione di Rimini, anche se resta la più critica in Romagna, mostra segnali di miglioramento, come conferma la riduzione (da 65 del 2008 a 36 del 2018, risalite però a 43 nel 2019) delle giornate di superamento del limite di emissioni delle PM10 (particelle molto piccole) ammissibili (50 µg/m3 come media giornaliera), fissato in 35 giorni l’anno. Miglioramento anche se le concentrazioni annue di PM10 e NO2 (biossido di azoto, molto tossico) locali restano tra le più alte in regione.
Qualità dell’aria che dipende da più fattori, compreso la densità del parco autovetture: 614 ogni mille abitanti a Rimini, nemmeno la più alta, che diventano, però, quasi 4mila per km2 di superficie urbanizzata, questa volta il valore regionale più elevato. Densità, si badi bene, che non tiene conto dell’apporto dei turisti (più di 3 milioni l’anno), che arrivano per quattro quinti in auto. Vetture che nel periodo estivo si sommano a quelle dei residenti.
Principale responsabile del cambiamento climatico è il consumo di energia, da cui partono le emissioni.
In valori assoluti la domanda di combustibile, suddivisa per fonte di approvvigionamento, della provincia di Rimini è tra la meno elevata dell’Emilia Romagna. Un debole settore manifatturiero, più energivoro del turismo, sicuramente gioca la sua parte. Cui si deve aggiungere che Rimini è anche la provincia più piccola, al netto dei turisti, che comunque consumano anche loro.
Tra le fonti di approvvigionamento è visibile il ritardo, in rapporto alla popolazione, nell’installazione dei pannelli fotovoltaici, dove le altre province sono nettamente più virtuose. Un settore, quindi, dove esistono ampi margini di miglioramento (il bonus del 110% per l’efficientamento energetico degli edifici offre una buona opportunità).
Le emissioni: 6 tonnellate per riminese
L’energia che serve per far funzionare una catena di montaggio, un elettrodomestico, accendere il condizionatore dell’aria, così come per la circolazione di un’auto, alla base ha sempre del combustibile che brucia. La combustione produce emissioni, le quali accumulandosi in atmosfera sono responsabili del cambiamento climatico di cui si discute. Prima della rivoluzione industriale, iniziata verso il Settecento, la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera era intorno a 250 parti per milione di molecole, oggi siamo arrivati a 417 parti per milione. Non era mai successo prima. Il riscaldamento, e le improvvise variazioni climatiche, ne sono la conseguenza. Purtroppo quando si leggono questi numeri spesso si pensa che i responsabili siano altrove, e così torniamo alle nostre abitudini, sperando che siano gli altri a dover fare qualcosa. Non è così. E i numeri delle emissioni lo dimostrano. Infatti, sommando tutte le emissioni collegate ai combustibili impiegati per produrre energia, ciascun riminese emette in atmosfera, ogni anno, una media di circa 6mila chilogrammi di CO2. Cioè la bellezza di 6 tonnellate. Tonnellate per abitante che diventano 7 a Ravenna e addirittura 8 a Parma, al vertice regionale per quantità di emissioni.
Sono tante o poche ?
Verrebbe da rispondere che sono abbastanza, visto le 8.7 tonnellate pro capite come media dell’Unione Europea, le 7.3 tonnellate dell’Italia, le 10.7 della Germania e le 5.4 della Svezia (Eurostat, dati 2018).
Il problema, allora, è tremendamente semplice, ma non facile da risolvere, se le polemiche prendono il posto della ricerca di soluzioni: come neutralizzare queste emissioni, per dare il nostro contributo alla riduzione dell’effetto serra? Ci vorrebbe un Piano di interventi, investimenti, obiettivi da centrare, un crono programma da seguire e un monitoraggio periodico dei risultati. Non c’è molto tempo, ed è meglio fare presto. Perché gli effetti si vedranno solo tra qualche decennio. Lo dicono alcune simulazioni, dove si sostiene che un taglio delle emissioni di anidride carbonica fatte oggi rallenterebbe il riscaldamento solo a partire dal 2033.
Il Piano d’azione per l’energia sostenibile (PAES), adottato dal Comune di Rimini, nel luglio 2014, prevedeva una riduzione delle emissioni del 22 per cento entro il 2020. Ci siamo. Alla fine dell’anno ci vorrà una verifica. Vedremo.
In tanto la Regione Emilia Romagna stanzia, per il periodo 2020-2022, 696.3 milioni di euro per misure a favore dell’efficientamento energetico e l’ambiente. La stessa Regione, a valere dal 2021 al 2025, definirà, entro il 2021, un Percorso regionale per la neutralità carbonica al 2050.
Un Patto locale per il clima, oltre all’immancabile beneficio di contribuire a frenare il riscaldamento del pianeta, consentirebbe a questo territorio un vantaggio competitivo in tanti settori, a cominciare dal turismo.
Ed anche elettoralmente potrebbe avere il suo riscontro, considerando l’esito dei partiti e movimenti verdi nelle ultime elezioni in Germania e Francia.