Il treno è uno dei mezzi di trasporto più romantici in assoluto. Forse perché raccontato in tanti libri e romanzi; oppure per la sua natura prettamente “popolare”, accessibile anche a chi non è un esperto viaggiatore, a chi non ha ingenti possibilità economiche e a chi, ad esempio, non si sente a proprio agio con l’aereo, ad oggi ormai il mezzo più efficiente e diffuso.
I motivi possono essere diversi, ma resta il fatto che il treno continua a produrre un fascino dal sapore antico che è, per molti, unico e insostituibile. Ed è proprio con un approccio romantico e malinconico, con “gli occhi di un bambino”, che Roberto Renzi, riminese esperto e appassionato del mondo dei trasporti, racconta gli ultimi viaggi, e la successiva soppressione, della ferrovia che univa Rimini a Novafeltria, una piccola linea (tanto da essere paragonata da molti a una tranvia extraurbana) attiva nel Novecento per collegare la città alla Valmarecchia e che fu chiusa nel 1960.
Un racconto, in prima persona, che Renzi riporta in Romagna ferroviaria (ARTS edizioni, 2022): libro che nasce “ dall’idea di tre autori di scrivere due capitoli ciascuno in maniera indipendente, tenendo come unico denominatore la storia della ferrovia in Romagna. Una storia quindi non organica, ma che presenta ‘finestre’ precise sulle vicende dei binari di casa nostra. Il ruolo rilevante svolto da Rimini in questo contesto dona alla nostra città una posizione prevalente nel panorama regionale rievocato”, come spiega Gian Guido Turchi, altro autore del libro, appassionato (ed esperto) dell’affascinante mondo ferroviario (il terzo autore è Giorgio Zennaro).
Di seguito, riportiamo il citato racconto di Roberto Renzi.
“Settembre 1960. Da poco si era conclusa l’Olimpiade di Roma, erano i giorni del duello televisivo tra Kennedy e Nixon, in Argentina nasceva Maradona… A Rimini si stava concludendo la stagione turistica, con l’arrivo degli ultimi voli charter allo scalo di Miramare, che da poco era assurto al rango di aeroporto internazionale, e c’erano novità sul fronte della mobilità: da qualche mese la città aveva una rete di trasporti urbani (in precedenza l’unica linea era quella filoviaria che giungeva fino a Riccione) e le Ferrovie dello Stato stavano per annunciare un grande progetto di potenziamento della stazione, che sarebbe stato realizzato nel giro di due anni. Io stavo per cominciare a frequentare la seconda elementare.
A quei tempi l’anno scolastico iniziava ancora il primo ottobre e il mese di settembre, finita l’epoca dei bagni di mare, era dedicato – oltre che a svolgere tardivamente i compiti per le vacanze – alle scampagnate nell’entroterra. Fondamentale appoggio per le escursioni fuori porta di noi bambini era la zia Adele, una single con la passione del viaggio (era figlia di un ferroviere)
e delle riprese cinefotografiche, inseparabile dalla sua cinepresa Canon 8 mm con carica a molla e dalle sue macchine fotografiche, tra le quali spiccava una Rolleiflex. Quell’anno, per celebrare la fine delle vacanze, la zia decise di portarci a fare un viaggio che di lì a poco sarebbe stato irripetibile! Si era diffusa in città la voce che la ferrovia per Novafeltria (paese che i “grandi” chiamavano ancora Mercatino) stava per essere soppressa, e così partimmo per un viaggio d’addio a quel trenino che tanto mi aveva incuriosito nei primi anni dell’infanzia, ma sul quale non ero ancora riuscito a viaggiare.
La notizia della imminente scomparsa del trenino aveva provocato in me una reazione di grande tristezza. […] Poi venne la gita con la zia, della quale ricordo la delusione di un’andata in corriera (diverse coppie di treni erano già state rimpiazzate da autobus) e l’esaltante viaggio di ritorno, su una automotrice Diesel a due assi, arrivata da Rimini circa mezz’ora prima dell’orario di partenza: io, mio fratello e la zia eravamo già in trepida attesa sul primo binario, e potemmo ammirare la manovra di giratura sulla piccola piattaforma azionata a mano. La macchina poi retrocesse di nuovo all’altezza del fabbricato viaggiatori e prendemmo posto sull’ultimo sedile, che dava l’opportunità di viaggiare guardando ‘dal lunotto’ il binario che ci lasciavamo alle spalle. […] All’arrivo a Rimini Centrale, dove già fervevano i lavori per la trasformazione in autostazione, venne a prenderci in macchina mio padre. Una ventina di giorni dopo, il trenino compiva il suo ultimo viaggio”.
La chiusura della linea
“Nella mia infanzia, tutto sommato assai felice, la soppressione della ferrovia Rimini-Novafeltria fu una delle notizie più tristi.
[…] Approfittando della passione per la fotografia della zia e anche di mio padre, nei giorni successivi a quel 16 ottobre in cui gli autobus avevano sostituito le automotrici, li trascinai a fare dei sopralluoghi lungo il percorso e soprattutto nella stazione di testa di Rimini. Conservo ancora i negativi delle foto scattate ai primi di novembre, tra cui quelli in cui si vedono le quattro automotrici in sosta sul terzo binario, tutte in fila: nei giorni successivi alla chiusura avevano effettuato qualche treno-ramazza, per concentrare quanti più carri possibile a Rimini Centrale e ora erano lì, in attesa di un acquirente che sarebbe venuto presto.
Le rilevò, insieme a una carrozza e a diverso altro materiale, la ferrovia Circumetnea: a febbraio sarebbero partite per ferrovia alla volta di Catania, lasciando l’impianto ormai trasformato in autostazione, dove i rotabili meno fortunati stavano per cominciare un lungo periodo di abbandoni. Per cinque locomotive a vapore, già da tempo accantonate, cinque carrozze (tra le quali due ex ferrovie Ostellato-Porto Garibaldi) e parecchi carri di tutti i tipi, rimasti sui binari non smantellati, iniziò un veloce degrado, esposti a intemperie e atti vandalici.
Qualche anno dopo, locomotive e vagoni erano ridotti a ferraglia, uno spettacolo indecoroso in pieno centro cittadino. Ci fu girato anche un film con una nota attrice; passando di lì buttavo l’occhio e rivedevo la stagione della mia infanzia, ma ormai non era possibile scattare foto che non rivelassero che nulla era rimasto come prima. Nell’ottobre del 1970, esattamente dopo dieci anni dalla chiusura al traffico della linea, i rotabili furono portati via alienati come ferrovecchio, salvo la piccola locomotiva Krauss (classe 1900) che ebbe la fortuna di finire su una ferrovia-museo in Svizzera, la Blonay-Chamby. Quando accorsi con una macchina fotografica, erano rimaste solo le rotaie, ma per fortuna il grande fotoreporter riminese Davide Minghini aveva immortalato quest’ultimo atto della ferrovia della Valmarecchia in più rullini, oggi conservati alla Biblioteca Gambalunga.
La ferrovia Rimini-Novafeltria, una linea nata già vecchia nel 1916, più simile a una tranvia extraurbana che a una ferrovia, risorta dalle distruzioni della guerra solo grazie a una sorta di “trapianto di organi” (la possibilità di sfruttare parte della sede della mai ultimata Santarcangelo-Urbino), finiva così nel mondo dei ricordi. Ogni tanto qualcuno recrimina sulla soppressione, con frasi a effetto del tipo “avremmo potuto avere una metropolitana di superficie”, dimenticando che le caratteristiche tecniche della linea erano talmente modeste che per adeguarla alle esigenze dei nuovi tempi sarebbe stata necessaria una ricostruzione quasi integrale (tipo Trento-Malè, per chi conosce la materia). Caratteristiche modeste, ma forse proprio per questo tali da rimanere per sempre nella mente di un bambino di sette anni”.