Settima edizione bagnata per la Marcia della Pace che si è svolta a Rimini il 1° gennaio 2018. Il cattivo tempo ha obbligato gli organizzatori a ridurre il tragitto e a “marciare” più con le parole che con i piedi, in sala Manzoni, dove si sono succeduti gli interventi, in primo momento previsti lungo il percorso. Nonostante la pioggia, almeno 400 persone si sono ritrovate, un po’ alla spicciolata, prima a San Nicolò, poi lungo la strada, i ritardatari in Sala Manzoni. Pochi i giovani under 30. L’età media dei partecipanti è sui 40-50 anni.
Davanti lo striscione, palloncini colorati, subito dietro profughi, sinti e famiglie. Si chiacchiera tra persone con braccialetti di colore diverso su due domande: Cos’è per me la Pace? Cosa posso fare io?
Un’iniziativa molto ben curata, vissuta come importante momento diocesano cui hanno aderito diverse realtà, non solo cattoliche, come l’associazione musulmana culturale Valconca (con una presenza significativa) e la comunita sinta di Rimini. Un signore, nel cammino, quando i partecipanti erano invitati ad uno scambio sui significati della pace, mi ha detto che vedrebbe ben volentieri la marcia ancor più aperta alla società civile, non solo cattolica: “Del resto il Papa ci invita ad andare ben oltre ai nostri confini”.
Come ogni anno la Marcia accende i riflettori su un tema di respiro internazionale ed uno di livello locale. Per il primo si è pensato ai profughi siriani in Libano.
Abu Abdo e la sua famiglia, accolti da una coppia di Coriano, hanno raccontato le sofferenze dei campi profughi. Commovente il grazie dei suoi tre figli, in italiano, sempre più preciso, man mano che si scendeva in età. Alberto Capannini ha incentrato il suo intervento sull’impegno di Operazione Colomba nel condividere la loro storia e nell’aiutarli ad entrare nel primo “corridoio umanitario“ che l’Italia ha fatto con quel conflitto. Ha poi presentato la proposta di pace nata in quel contesto (vedi scheda a lato). “Se noi ascoltiamo veramente queste persone, come ci invita il Papa – ha detto – ci dicono con chiarezza una cosa di cui abbiamo tutti bisogno: non ci possiamo permettere le guerre, dobbiamo espellere la guerra dal nostro modo di vivere”.
Per l’obiettivo locale si è pensato all’anno appena trascorso, al tema dei Sinti. Simbolicamente una piccola delegazione con alcune famiglie sinte è partita dal campo di via Islanda per arrivare a San Nicolò, con una lampada, segno di speranza per un problema che non sembra mai giungere a soluzione. A loro ha dato voce il pastore evangelico sinto.
Molto coinvolgente il racconto delle famiglie, che a diverso titolo e impegno, stanno accogliendo ragazzi stranieri. Le storie di Mamadù, Burema, George e di altri si sono intrecciate con quelle di chi li ha accolti con generosità nel quotidiano. ”È possibile, non è da eroi – ha detto Mario Galasso, nuovo direttore Caritas – Queste storie ci dicono che possiamo intervenire tutti in un pezzettino della nostra realtà”.
La conclusione è toccata al Vescovo. Monsignor Lambiasi ha sottolineato come “importante non è fare la pace, ma essere uomini di pace. Se sei Pace, ovunque tu porti la pace”. E ha invitato i giovani ad essere protagonisti della loro storia: “I giovani fanno le guerre decise dai vecchi. Se i giovani si ribellassero la guerra non si potrebbe fare. A voi il compito di costruire una nuova cultura di noviolenza e solidarietà”.
Alle 18 il Vescovo ha celebrato la Messa in Cattedrale, nella festa della Madre di Dio.
La giornata della Pace farà da ponte con il 14 gennaio 2018 Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato dal titolo “Accogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti e i rifugiati”.
a cura di Giovanni Tonelli