In giro per il centro, a metà novembre, guardando negozi, bar, ristoranti, già s’immagina il Natale. Sembra vero, ed è infatti il Natale ingannevole, del consumismo e dei troppi balocchi, ben lontano e distante da quello dei sentimenti e dell’anima. Solo dopo Santa Lucia (13 dicembre) allora s’inizia a sentirselo addosso il Natale, e ad esserne sentimentalmente coinvolti. Per questo, l’anno scorso, in uno di quei dieci giorni prima della Vigilia, decisi di andare a vedere, curiosa, chi costruiva a Portico di Romagna, nelle strade, lungo le scale, sotto i portici o altrove, tutti quei presepi tanto citati in giornali, tv, etc. Portico nell’aspetto pare ancora citta medievale, con un ponte, come pochi ne son rimasti, a “schiena d’asino”, e nel centro belle case antiche, appartenenti a famiglie importanti, un tempo, come erano i Traversara, citati da Dante nel canto XIV del Purgatorio, ed anche i Portinari, dei quali Folco era il padre della Beatrice dantesca. Dal XVII al XVIII secolo c’era anche un convento, chiuso in epoca napoleonica, mutatosi ora in Albergo, Il Vecchio Convento i cui ospiti sono quasi sempre stranieri.
Oggi Portico, finiti i suoi momenti di gloria, è quasi tutto spopolato, bello fuori ma vuoto dentro, con poca gente nelle case e spesso solo anziani. Allora mi sono chiesta: chi mai preparerà, organizzerà e disporrà in giro, per tutto il paese, quella grande e diversa quantità di presepi? Quando arrivai a Portico c’era solo silenzio, e quei tantissimi presepi eran già sistemati nei loro posti. Poi, successe qualcosa di nuovo, ben più importante della semplice curiosità intorno ai presepi. E quel che accadde vale la pena raccontarlo. Mentre ero ferma con una serie di presepi intorno, vidi, quasi mi venissero incontro, un signore ed una signora, stranieri certo, ma di dove non potevo capirlo. Furono invece loro, fermatisi vicino ai “miei” presepi, in un italiano buono ma non perfetto, a parlarmi della bellezza del luogo ma soprattutto a meravigliarsi di quei presepi, tanto strani e diversi che, così, non li avevano visti mai. Fu allora, in quell’atmosfera silente e presepiale, che conobbi Elie e Nayla (nella foto), diventati poi “gli amici libanesi”. Solo dopo seppi che da sempre erano stati appassionati dell’Italia tanto da venirvi in viaggio di nozze.
Era il 2002 e, usciti dall’aeroporto, la loro prima tappa fu Roma e la visita a Papa Wojtyla. Di lì a Firenze, per goderne le opere d’arte. Per l’ultima tappa, che era Venezia, decisero di passare per la vecchia e tradizionale statale 67, che dal Muraglione li avrebbe portati a Forlì e a Ravenna. Ma, con tutti quei tornanti in salita e in discesa, già a San Benedetto iniziarono a sentire un certo languorino oltre che la stanchezza. A Portico decisero di fermarsi, senza sapere di non vedere altro che bei palazzi antichi, e basta. Di aperto c’era solo l’Albergo e lì fuori un signore, che poi seppero ne era il gestore, gli propose due panini… la cucina era già chiusa.
Ancora, dopo anni, Elie e Nayla ricordano quei grossi panini ripieni di sapido prosciutto, finocchiona e cacio toscano, con l’aggiunta di un bicchiere di vino, e così a loro pareva di sentirsi tra amici, amici veri. Così promettono di ritornarvi tutti gli anni, durante le loro vacanze, perché Elie e Nayla, uno ingegnere e l’altra laureata in economia, dirigono insieme una scuola, la più antica a Beirut, fondata nel 1835 col nome ETD, in francese “L’Ecole des Trois Docteurs”, che sono i santi Giovanni Crisostomo, Basilio e Gregorio.
“Oggi – dice Elie – nell’ETD si congiungono antica storia, attuale modernità, grande impegno, perché noi crediamo che solo una buona educazione può fare un vero cambiamento nelle persone, e quindi anche nella società. Noi ci sentiamo fortunati a lavorare in una scuola appartenente alla Chiesa, ma ci servono comunità miste, ragazzi di famiglie diverse perché, pensiamo, l’unità della cultura può accostare tra loro i giovani e giungere a un’unità di pensiero, di sentimenti” Interviene Nayla, “Noi viviamo in una parte del mondo ove la testimonianza cristiana si fa più difficile che da voi, e proprio per questo i cattolici libanesi si sentono cittadini del mondo. Forse è stato non casuale esserci fermati a Portico ove ora abbiamo nuove conoscenze i cui legami si rinforzano nel tempo e diventano amicizie piene di affetto, armonia e amore”. In più hanno promesso una deviazione a Rimini. Elie e Nayla arriveranno i primi giorni dell’anno. C’è l’intenzione di far vedere loro non solo la marina, l’Arco d’Augusto, il Ponte di Tiberio, il Duomo, il Museo della Città, ma di portarli anche sulle colline fino a Pennabilli, perché nel Monastero delle Monache Agostiniane c’è suor Maria Abir Hanna che, come Elie e Nayla, è libanese, giunta qui per “virtù” di Filippo di Mario, missionario laico del Cammino Neocatecumenale, catechista di Abir e originario proprio di Pennabilli. Egli fu in Medioriente, in Irak, in Libano, ove suor Maria gli chiese di poter venire in Italia. E lì, nel Monastero a Pennabilli lei, che ha particolari doti musicali e artistiche, suona la cetra. Suor Maria, Elie e Nayla, tutti e tre libanesi, non si sono mai conosciuti prima, e s’incontreranno in Romagna, ed insieme rafforzeranno la loro comunità d’intenti ed impegni d’amore e di fede. Può non essere importante quello che si diranno nella loro lingua natale, o in francese che è la loro seconda lingua, o in italiano. A volte le parole non servono, basta un abbraccio, o sentire insieme il suono della cetra, di cui, appunto, suor Maria Abir Hanna è maestra.
Grazia Bravetti Magnoni