Dopo la crisi seguita al lungo mandato del vescovo Opizzone (1069-1107?) la chiesa di Rimini ha una forte ripresa dal punto di vista patrimoniale e sia il vescovo che i canonici riescono a rientrare in possesso dei loro beni in precedenza dispersi o usurpati: le bolle papali nel corso del secolo confermano o concedono diritti su pievi, chiese, oratori e monasteri, feudi, porte e portici, dalla riviera fino al Cesenate, al Montefeltro e alla montagna pesarese.
Gli antichi codici “Passionari”
Il recupero si estende anche all’area del culto, sulla scia della riforma che aveva invitato ad una vita comune di preghiera e di meditazione. È di questo secolo infatti una ricca produzione di Bibbie cosiddette “atlantiche”, perché di dimensioni stragrandi per facilitare una lettura collettiva, e di manoscritti di contenuto omiletico o agiografico, questi ultimi utilizzati sia nelle letture liturgiche o comunitarie che personali. Particolarmente interessanti i due codici (Passionari vengono chiamati) custoditi uno nella Biblioteca Gambalunga e l’altro nell’Archivio diocesano, che raccolgono le vite dei santi che ben han meritato nei riguardi della Chiesa e che vengono proposti nei vari giorni dell’anno come modelli di comportamento. Le grandi dimensioni, gli accenti tonici sulle parole di uso meno frequente per aiutarne la corretta pronuncia, la scansione dei paragrafi ottenuta decorando o colorando in rosso le lettere iniziali, ci raccontano di letture comunitarie in chiesa durante l’ufficio del santo o nel refettorio durante i pasti.
Accanto a santi “ecumenici”, viene proposta alla meditazione la vita di santi “locali”, riminesi o delle diocesi vicine: Cassiano di Imola, Vicinio di Sarsina, Ruffillo di Forlì; accanto alle vite di vescovi sono raccontate vite di monaci; accanto alle vite di martiri come Gaudenzio sono proposte vite di santi “moderni” come Arduino. A insegnare che la via della santità è percorribile nella quotidianità di tutti i tempi.
Questi Passionari (nella foto accanto la pagina dei santi Gervasio e Protasio) furono certamente confezionati a Rimini, probabilmente dietro richiesta dei canonici della cattedrale; il buon uso degli strumenti della retorica di cui danno prova gli autori, la scrittura elegante e sicura, la fantasia particolarmente feconda del miniatore, unita ad un acuto senso spaziale e cromatico rinviano ad un tessuto culturale ricco e fecondo.
Indice della rinata vivacità culturale è anche la riconsacrazione, avvenuta nel 1154, della cattedrale di Santa Colomba, vero cuore della città medievale. Di essa ci è rimasto davvero poco, ma sappiamo che portale, absidi e presbiterio erano stati ristrutturati o rifatti secondo le più moderne forme del romanico lombardo.
Rimini, città aperta
Segno, ancora una volta, dell’apertura della città verso altre esperienze, in particolare quelle provenienti dal nord, dal Veneto e dalla Lombardia in particolare. E non poteva essere altrimenti, essendo Rimini passaggio obbligato per le mercanzie, gli eserciti, le maestranze, che da nord intendevano dirigersi nell’Italia centrale o meridionale, via terra o via mare. Nessun documento attesta la partecipazione di Rimini alla prima crociata (1096-1099), ma certamente il suo porto dovette essere almeno uno dei luoghi di partenza della grande impresa voluta da papa Urbano II.
Gli anni del rinnovamento
Questa maggiore mobilità, accresciuta dalla consuetudine dei pellegrinaggi, la diffusione delle fiere che contribuivano a creare una ricchezza diversa da quella terriera (la prima fiera del Riminese è quella di San Gaudenzio del 1111), l’inurbamento dalle campagne furono cause e insieme effetti del profondo cambiamento della realtà sociale nella quale la Chiesa era chiamata ad operare.
Negli anni fino al Concordato di Worms (1122) si era avuta una crisi profonda dei poteri universali, l’ Impero e il Papato, e questo aveva favorito un lento ma inarrestabile rinnovamento della vita delle istituzioni e dei poteri locali nel segno di una maggiore autonomia. Uno dei testimoni al patto di collaborazione tra Riminesi e Ravennati proprio in occasione della citata fiera di San Gaudenzio è un Aliprando consul che viene considerato il primo magistrato del comune cittadino.
Anche se il Consiglio del popolo si riunirà fino al 1207 (anno in cui ha inizio la costruzione dell’Arengo) nella cattedrale di Santa Colomba, è ormai chiaro che la città comincia a sentirsi a disagio sotto la tutela del vescovo e desidera imboccare strade nuove: rioccupa spazi all’interno delle mura prima abbandonati, riconquista proprietà contendendole alla chiesa di Ravenna e al vescovo, cerca di darsi un corpo di leggi organico per regolare la vita in comune, si apre ai mercanti che vengono da lontano, incurante del loro credo religioso, attrezza un nuovo porto marittimo alla foce del Marecchia, estende la sua influenza sul contado, modificando poco alla volta il rapporto tra città e campagna e, favorendo o spesso imponendo la migrazione dal contado verso la città, provoca un sensibile ricambio sociale e l’affermarsi dei ceti popolari. Per sottolineare la propria indipendenza dal vescovo e in polemica con lui, il comune adotterà come protettore San Giuliano, la cui immagine comparirà sulle prime monete a partire dal 1275.
Le difficoltà del primo Comune
I nuovi ordinamenti comunali non hanno tuttavia vita facile: devono destreggiarsi tra papa e imperatore che fanno a gara per assicurarsi con concessioni di vario tipo la fedeltà delle istituzioni locali e devono resistere all’azione restauratrice degli imperatori della casa di Svevia, succeduta alla casa di Sassonia: se Federico Barbarossa nel 1183 con la pace di Costanza riconosce le autonomie cittadine, sia pure a precise condizioni, pochi anni dopo, nel 1195, il figlio Enrico VI concede alla Chiesa di Rimini la sua protezione sovrana; riconosce le prerogative dei chierici convenuti di fronte ai tribunali civili; abroga uno statuto comunale – definito esecrabile – emanato ai danni della Chiesa.
Il comune deve, inoltre, contendere per il controllo del territorio coi vescovi, coi quali i rapporti si fanno sempre più aspri in occasione dei provvedimenti da adottare nei confronti degli eretici. Il prolungarsi di tali tensioni metterà presto in crisi gli ordinamenti comunali tanto che già alla fine del secolo (nel 1199) la magistratura collegiale dei consoli sarà sostituta da un podestà forestiero.
Il decentramento ecclesiale
In una società tanto composita e attraversata da tensioni così profonde, lo sforzo della chiesa di Rimini è nella direzione di un deciso decentramento delle funzioni sacramentali e pastorali alle parrocchie, un tempo chiese minori, cappelle e oratori, alle quali ora viene attribuita una crescente autonomia, per aiutare un contatto più diretto tra parroci e fedeli e arginare il diffondersi di movimenti eterodossi.
(4- continua)
Cinzia Montevecchi