Che il rapporto che lega Rimini al proprio mare affondi le radici nel mondo antico è cosa nota e di facile intuizione. Ma conoscerlo nei dettagli, nella sua nascita e nella sua evoluzione durante i secoli, è tutt’altra faccenda. Proprio per raccontare la lunga storia che lega la nostra terra al mare, nelle più diverse sfaccettature, è ora in uscita il nuovo libro di Oreste Delucca, riminese che da 50 anni è impegnato nello studio delle fonti d’archivio per documentare l’ambiente, l’economia, l’arte e la storia di Rimini e del territorio: Rimini e il mare nei documenti del Tre-Quattrocento (Luisè Editore, 2020).
Ed è proprio partendo dai documenti medievali che Delucca traccia storie e vicende della Rimini marinaresca, indagandone tutte le sfumature e gli argomenti. Tra questi, la storia del porto di Rimini, che non solo ha un rapporto millenario con la città, ma addirittura sembra preesistere ad essa. Riportiamo l’estratto del libro dedicato proprio alla storia del porto riminese.
“Rimini ha avuto un porto da sempre. Anzi si può credere che il porto – o magari un semplice approdo alla foce del fiume – abbia preceduto la nascita della stessa città in quanto, come sostengono i Veneziani, che in materia se ne intendono: ‘Buon fiume fa buon porto’. Già documentato dalla primissima monetazione cittadina, è menzionato nel 218 avanti Cristo da Livio, che ne testimonia l’efficienza. Quali fossero i caratteri iniziali di questo porto non sappiamo con esattezza, legati all’andamento di foce dell’Ariminus ed alle sue possibili diversioni, che di fatto ignoriamo. Al tempo di costruzione del ponte di Tiberio (con le caratteristiche pile oblique, asimmetriche rispetto all’asse stradale), il fiume presentava verosimilmente un’ampia falcatura verso mezzogiorno, legittimando l’ipotesi che l’approdo giungesse fino al cardine massimo; vari storici hanno affermato anche l’esistenza di un molo, del quale tuttavia mancano ad oggi riscontri archeologici inconfutabili. A sostegno indiretto di questa conformazione merita ricordare che la Chiesa Ravennate, fin dal primo Medioevo, riceveva parte dei prodotti agricoli (da spedire poi alla casa madre via mare) in una rettoria posta proprio sulla direttrice del cardine massimo. E si può anche ricordare l’antico detto marinaro: fe regula per i tre munt insiem, che suggeriva l’allineamento delle cime di Carpegna, Monte Titano e San Fortunato a chi intendeva giungere nel porto di Rimini. Orbene, questo allineamento conduceva quasi all’altezza dell’anfiteatro romano. Nei secoli posteriori, i ripetuti alluvionamenti hanno prodotto una progressiva traslazione dell’area portuale verso settentrione, per l’interramento dell’antico bacino dovuto agli apporti solidi dell’Ariminus ed ai materiali condotti dalle correnti marine che hanno fatto arretrare la linea di costa. Quando negli anni 810-816 le fonti storiche iniziano a citare la pusterula S. Thome (in corrispondenza dell’odierna via Gambalunga) è segno che lo scalo marittimo è posto ormai sulla direttrice di piazza della Fontana.
Dopo varie turbolenze che hanno interessato il corso finale del fiume (ora chiamato Maricula), nel Duecento lo troviamo menzionato come flumen Maricule sive portus e al tempo stesso compare la porta
Galiana. Dunque, il porto ha compiuto un altro passo verso settentrione ed ora si identifica praticamente col fiume. Le grosse imbarcazioni che il fiume non può accogliere stazionano al largo, di fronte alla città; e così sarà in futuro, come avremo modo di documentare fin dal Quattrocento”.
I lavori al porto di Carlo Malatesta “Spaventose piene e inondazioni di fine Trecento costringono all’intervento Carlo Malatesta che nel 1400 diede prencipio a rasettar il porto con la soprintendenza di Domenico ingegnero del duca di Milano, condotto a tal’effetto. I risultati paiono buoni, se è vero che nel 1402 Firenze utilizza il porto riminese per tutti i suoi traffici sull’Adriatico. Non conosciamo i particolari degli apprestamenti malatestiani; tuttavia merita segnalare un’immagine del 1409 contenuta nel Polittico di S. Giuliano dipinto dal noto Bitino da Faenza (foto piccola). Uno scomparto mostra vari personaggi che si recano in cima al porto; per un certo tratto, sopra il basamento palificato sono presenti blocchi di pietra chiara ben squadrati, tenuti insieme da grappe metalliche. La parte finale, o testata del molo destro, appare arrotondata e contenuta da una sequenza ininterrotta di pali che emergono fino al piano di calpestio. Il molo sinistro è perimetrato unicamente dalla palificazione. Il pittore, che di sicuro ha ripreso la scena dal vero, mostra dunque la condizione dei lavori promossi qualche anno prima da Carlo Malatesta. Il quale, a seguito di ulteriori disastri, è poi costretto ad un provvedimento radicale per rettificare la foce e prolungare i moli in mare.
Infatti nel 1417 diede ordine che si risarcisse il porto di Rimino, ridotto a mal termine; e alli XII di novembre in venerdì, fatta una solenne processione di tutta la chieresia e cantato a più chori di stromenti e di variate voci un bellissimo ufficio, e da un vescovo alloggiato in S. Bartolomeo benedetta e gettata la prima pietra e calcina, con l’aiuto celeste, dall’istesso Carlo, da Giovanni di Ramberto, dagli altri di corte e da’ cittadini, si diede prencipio e si tirò la fabbrica in mare; e dopo pranso col nome di Dio vi pose mano la maestranza. E ancora: fe il porto d’Arimino in mare”.
Le tante complicanze
“Tornando ora espressamente al porto, va ripetuto che durante i secoli del Medioevo, con l’indiscussa prevalenza delle vie d’acqua su quelle terrestri, essere situata sul mare e dotata di un approdo, è stato un indiscusso punto di forza per Rimini sebbene non siano mancate le problematicità. Infatti la costa romagnola, per sua natura, richiede interventi e manutenzioni continue per garantire l’agibilità di qualunque porto, sempre in lotta contro l’insabbiamento dei fondali e le devastazioni delle fiumane. Inoltre le imbarcazioni maggiori sono costrette ad ancorarsi al largo, quindi le operazioni di carico e scarico richiedono l’intervento delle barche minori, le uniche in grado di entrare nel porto per l’attracco alle banchine. Complicanze che oggi parrebbero intollerabili, ma a quel tempo i caratteri e i ritmi della vita le rendevano accettabili. D’altra parte le vie terrestri avrebbero comportato problemi maggiori e talora insormontabili.
Sarebbe lungo e tedioso passare in rassegna tutte le vicende vissute dal porto riminese nei decenni successivi ai lavori fatti eseguire da Carlo Malatesta. Vediamone solo alcune: per un paio di decenni le condizioni portuali si mantengono buone, tanto che nel 1437 la scelta di spostare il Concilio in corso a Basilea cade proprio su Rimini, in antitesi a Venezia e Ravenna. Ma dopo rovinose alluvioni, devastanti per i moli, il 10 ottobre 1454 si acquistano nuovi pali necessari al restauro e sappiamo che nel dicembre di quel medesimo anno, per commissione di Sigismondo Pandolfo, se fornirà de ficare al porto tucti i pali conducti perfino qui et de novo è stato mandato per uno altro burchio, verosimilmente diretto a Senigallia dove si stava disboscando l’entroterra. Un impegno che prosegue, come si può indirettamente arguire dalla contabilità del mercante Giovanni Simoli che, nel 1474, annota un credito per ligname tolse l’oficiale per el porto de San Giuliano. Significative sono le notizie riferite al 1469, durante la guerra mossa dall’esercito pontificio contro Roberto Malatesta. Il 10 giugno gli ecclesiastici, dopo avere occupato il borgo S. Giuliano, all’alba, guazzando il porto con la discrescente dell’acqua, passarono nel borgo di S. Nicolò; e ancora la matina, quando per lo refluxo del mare la Marechia lì al ponte si può passare a guazo, passarono et intrarno in detto borgo. Onde si deduce che con la bassa marea l’acqua era bassissima, attraversabile a guado; ed il fondale costituito necessariamente da un letto di ghiaie, perché col fango sarebbe stato impraticabile. E ancora, i cronisti precisano che il porto dava ricetto solo ai piccoli navigli; e limitatamente ai momenti di alta marea, due volte nelle 24 ore.
Situazione confermata da un portolano stampato in Venezia l’anno 1490, ove si dice che nel fiume di Rimini quivi entran navili pizoli; etper tramontana, circha mia uno, in mar è una secha che fa una torre murada.
Dunque esisteva anche un banco di sabbia e ghiaia ad ostruire la foce, complicando l’ingresso in porto”.