“Pronto?”. “Ho visto il telegiornale, mamma. Ma è vero che sulla banchina ne dormono 2mila? E che manca l’acqua? State bene? Avete il cibo?”.
Rimini chiama Lampedusa. Sul filo corrono e si rincorrono le notizie, le smentite, le rassicurazioni. I lampedusani che vivono a Rimini – la più grande comunità di “stranieri” presente sul territorio – in questo periodo, non fanno altro che stare attaccati con le orecchie al telefono e con gli occhi al televisore. Le immagini affollano e portano in scena un’isola che non riconoscono e una situazione, che anche a distanza, si percepisce essere troppo grande da gestire. E da qui Fabiana, lampedusana d’origine, su facebook lancia una proposta per raccogliere indumenti da mandare sull’isola. Sulla maggiore delle isole Pelagie la situazione è delle peggiori. Doppiati e superati in numero dagli extracomunitari, i lampedusani si ritrovano a gestire in 21 km quadrati un piccolo esercito di disperati. Numeri che variano di giorno in giorno, di ora in ora con picchi che hanno registrato le 6.600 presenze contro una popolazione residente che oscilla tra i 5.000 e i 5.500.
Quello che si vede non sempre è quello che si apprende dal posto. Pur non cavalcando l’onda di quelli che “i giornalisti si inventano tutto” dalle testimonianze isolane ci si rende conto che molte situazioni vengono sottovalutate o sopravvalutate dai media. O semplicemente: non comprese. Per capire, a fondo, bisogna avere una certa dimestichezza con i luoghi, gli spazi, i deficit di una terra, che mai come in questo momento ha palesato la sua natura di terra di frontiera.
I primi a vivere in bilico sono gli isolani: da sempre. Privati dell’ospedale, di un buon sistema scolastico e di un sistema di collegamento con la terra ferma adeguato, sono in perenne lotta con lo Stato italiano al quale lamentano una condizione di cittadinanza di serie b. Sono in guerra pure ora. Le voci raccolte sull’isola parlano di una sindrome d’abbandono diffusa e di un inferno in terra che si gestisce, nonostante tutto. Ma fino a quando?
I numeri
Non si può dire che sull’isola ci siano degli accampamenti perché l’isola è l’accampamento. Mediamente in 2000 vivono in banchina, lungo il porto; 250 alla Casa della fraternità, una struttura della parrocchia; dai 3500 ai 4000 sono ospitati nel Cie (Centro d’identificazione ed espulsione, ex centro di prima accoglienza, con capienza che oscilla tra le 600 e le 800 persone); e un numero vario distribuito in case di lampedusani che si prestano (35 anche nella casa del sindaco) e vari bivacchi dislocati sull’isola, tende di fortuna costruite con le lenzuola che dal Cie vengono fornite al momento dello sbarco. Difficile tenere il conto, difficile aggiornare i numeri. Dal 26 marzo sera, infatti, partono 550 persone al giorno con la nave della Marina Militare, San Marco, ma gli sbarchi si susseguono ed è difficile tirare una linea in fondo alla pagina. Da venerdì 25 alla notte di domenica 27 ne sono arrivati 3721, tra la notte di domenica e lunedì 28 ne sono arrivati quasi duemila (1973). Tante le voci di corridoio che circolano, ora dopo ora.
Filo diretto con l’isola
Tre settimane che è emergenza. La cronaca degli ultimi anni non ha risparmiato l’isola indicandola come principale (seppur non unica) porta d’accesso in Europa per chi scappa dal continente africano. Gli scontri in Libia, prima interni ora internazionali hanno spinto ondate di persone a lasciare i territori di guerra.
“Si è capito subito che sarebbe scoppiata una bomba.– racconta Gianluca Vitale dell’associazione Askavusa in prima linea nella gestione dell’emergenza – Qui la situazione è gravissima. Ad oggi (giovedì 31, ndr) la situazione è critica. Un bubbone pronto a scoppiare. Mi trovo davanti a gente che non mangia da una settimana, che non ha la possibilità di utilizzare dei servizi igienici e si arrangia per strada”.
La sede dell’associazione è in una casa che accoglie a rotazione gruppi di 5, 6 persone per pasti, docce e soccorso di prima mano. Numeri piccoli che però allargati fanno mole. Lampedusa si è messa in moto non si capisce bene se per pura solidarietà o per istinto di sopravvivenza, forse sono entrambe le cose.
Così ci sono donne che ai bordi delle strade distribuiscono pasti, Vitale che con i suoi ragazzi (africani e non) pulisce strade e spiagge, famiglie che si prestano a fare i panini a casa da dare in giro e i parrocchiani che alla Casa della fraternità gestiscono quei 250 in tutto e per tutto senza l’aiuto di nessuno. Sì, nessuno, perché qui la protezione civile non è ancora arrivata.
Rosaria Riggi, che passa gran parte della giornata in parrocchia, mi fa capire che si sta facendo il più possibile. “Da cristiana posso dire che il mio compito, adesso è quello di prestare aiuto. Ma sono anche preoccupata: chi aiuterà noi?”.
Si apre così, con le parole di Rosaria, una porta su quello che è il tema più scottante, la cavalcante sindrome d’abbandono di cui si diceva prima. Chi si occuperà di loro? I lampedusani che, di giorno in giorno, ricevono telefonate di disdette dai turisti che avevano già deciso di visitare l’isola. Qui l’economia si basa sul turismo per l’80% e le immagini che arrivano nelle case degli italiani sono tutto tranne che rassicuranti. I bivacchi per strada, la mancanza di acqua, il rischio epidemie, tanto che Fazio ha inviato degli ispettori sanitari, non sono un buon biglietto da visita. Dal fronte politico le notizie non sono più rassicuranti. Venerdì 25 il Ministro dell’Interno Roberto Maroni è volato in Tunisia con l’intento di sbrogliare questa matassa. Ma le risposte hanno latitato così Maroni ha lanciato la proposta dei rimpatri forzati.
La Lampedusa che non si muove: muore. In molti hanno paura, specialmente gli anziani. Per le strade non ci sono più bambini che giocano e davanti agli ingressi di elementari e medie dalle macchine in fila gli occhi dei genitri scortano i figli sin dentro le aule.
Voci di corridoio dicono che in Comune sia stato firmato un accordo, in cinque punti, con Roma che ha assicurato un pacchetto pubblicitario per un ritorno d’immagine dell’isola. Sarebbe stata la contropartita per la prima rivolta dei lampedusani, quella di due settimane addietro, quando la gente ha impedito ad un barcone di attraccare e alla nave che portava l’occorrente per la grande tendopoli di sbarcare il materiale.
Le giornate più calde
Lampedusa, domenica 27
Il ministro degli esteri Franco Frattini lancia la proposta: 2500 dollari ad ogni immigrato che accetti di lasciare Lampedusa e tornare in Africa.
Voci di corridoio parlano di una certa e diffusa ilarità tra gli isolani. Si è diffusa la voce che a notte inoltrata nonna Angela dalla sua casa, in pieno centro, ha sentito degli spari. Pare che i Carabinieri abbiano sparato, la vicenda è poco chiara, per sventare un furto.
Lampedusa, lunedì 28
Avviene la frattura. I lampedusani cominciano una protesta. Cassonetti dati alle fiamme e le imbarcazioni della vergogna – quelle con le quali i clandestini sono arrivati alla costa – trascinate a forza verso l’imboccatura del porto a bloccare l’accesso delle motovedette e, di conseguenza, lo sbarco di altri africani. E alcuni pescherecci della marineria rientrati in porto in tutta fretta per bloccare, anche loro, l’accesso alla terraferma. Alcune donne e consiglieri di centro destra si sono ammanettate sul porto in segno di protesta.
La tensione si taglia con il coltello e seppur gestendo la situazione attuale non si vuole che arrivi più nessuno. Si alza la voce: sarà l’effetto dei quasi duemila arrivati nelle ultime 24 ore, sarà che le risposte del Governo appaiono insoddisfacenti o comunque rimangono semplicemente parole. All’orizzonte nessun fatto. Maroni dice che nei prossimi giorni arriveranno sei barconi per svuotare l’isola. Gli isolani occupano il Comune.
Dal centro di accoglienza mi parlano di una brutta tensione. Il personale lavora ininterrottamente. “Cerchiamo di fare del nostro meglio – raccontano – ma sono tanti. Passiamo turni lunghissimi a confezionare i pasti e cercare di pulire gli spazi”. La cena di ieri è stata servita alle 23.00, il lavoro è tanto ma si ha anche paura. Ancora negli occhi, infatti, è l’incendio del febbraio del 2009 quando un gruppo tra gli 800 ospiti della struttura appiccò il fuoco ad una parte dello stabile: 24 feriti e tanta paura tra isolani e dipendenti del Cie che hanno visto divampare le fiamme.
Voci di corridoio dicono che ai residenti del Cie sono stati sequestrati gli accendini, che dalla Libia sono partite 10 imbarcazioni e che un uomo ha denunciato un furto nella sua abitazione. Dopo aver sorpreso i nordafricani in casa ha pure ricevuto un pugno in faccia.
Lampedusa, martedì 29
454 i migranti arrivati sull’isola. Nella notte si è sfiorata la tragedia, su di un barcone con 200 eritrei. L’imbarcazione era affondato a 30 miglia dalla costa. In 2000 sono rimasti senza cibo.
Voci di corridoio dicono che i lampedusani non credono a Maroni e all’arrivo delle sei imbarcazioni che svuoteranno l’isola.
Lampedusa, giovedì 31
Confermata la storia del furto, anche se con qualche incongruenza da parte dei coniugi che hanno sporto denuncia.
Sull’isola si aspetta Salvatore Martinez, presidente nazionale del “Rinnovamento nello Spirito Santo”. Con lui in sessanta dalla sede regionale. Lunedì sera, alle 21, animerà una preghiera. “Una speranza. – continua Rosaria – Una preghiera è sempre speranza”. Arrivano alla spicciolata le sei navi e in giornata arriva anche Silvio Berlusconi.
In seguito…
Le sei imbarcazioni promesse da Maroni cominciano, a svuotare l’isola. Ma ci vorrà del tempo prima che le cose tornino al loro posto.
Intanto a Roma…
Giacomo Sferlazzo, lampedusano, artista, cantastorie da sempre impegnato socialmente e politicamente, il 24 marzo ha iniziato uno sciopero della fame davanti alla sede del Parlamento Italiano. “Voglio accendere una luce su questa situazione – dice una voce stanca da un’affollata Piazza Montecitorio – perché a Lampedusa si stanno calpestando i diritti di tutti, lampedusani ed extracomunitari”. Dopo quattro giorni nessun “politicante” (tanti giornalisti) era ancora andato a chiedere perché stesse lì, poi è stato ascoltato da due senatori del Pd. Gli solani soffriranno pure di sindrome d’abbandono ma…
Angela De Rubeis