Nelle ultime settimane il Brasile è diventato il secondo paese al mondo per numero di contagiati dal Covid19. I contagiati aumentano in maniera vertiginosa, così come i morti. I dati di questi ultimi però sembrano essere molto sottostimati visto che il sistema sanitario è al collasso. Tutto questo sta provocando anche disordini dal punto di vista politico, con scontri tra le fazioni negazioniste vicine al presidente e quelle invece che invocano provvedimenti urgenti per contrastare la pandemia. Chi ha il polso della situazione è Michele Battazza, riminese, missionario della Comunità Papa Giovanni XXIII, che vive in Brasile da 22 anni.
Michele è sposato con Raffaella Canini, anche lei riminese, vive a Coronel Fabriciano nello stato del Minas Gerais ed è responsabile della comunità terapeutica che segue ragazzi con problemi di alcol e droga.
Michele, come avete vissuto l’emergenza coronavirus in Italia, dove vivono i vostri cari?
“L’abbiamo vissuta con sofferenza e vicinanza, preoccupati anche per i nostri famigliari, ma fiduciosi nella sanità riminese. Non sono venute a meno le preghiere quotidiane, condividendo il dolore di chi ha perso i propri cari; vicini anche a Don Alessio, sacerdote della Diocesi, affidandolo a don Oreste Benzi. Continuamo a seguire l´evolversi della situazione di emergenza a Rimini e in Italia, contenti dei risultati positivi e dei vari provvedimenti presi dall’Italia, con la speranza che tutto si risolva per il meglio, ritornando ad una nuova normalità”.
E la situazione brasiliana?
“Siamo preoccupati per il Brasile, un paese che sta affrontando non solo l’emergenza Coronavirus, ma anche il caos politico. Il Presidente della Repubblica insiste nel negare la gravità della situazione, non ascoltando la voce della scienza (due ministri della sanità, medici, dimessi nel giro di un mese), mettendo in primo piano l´economia e insistendo affinché si torni alla normalità e, quindi, tutti al lavoro! Non essendoci una direzione chiara e trasparente dal governo federale, Stati e municipi agiscono in forma autonoma, insistendo sulla necessità dell’isolamento e chiudendo il commercio e i servizi non essenziali. Il Brasile è un paese dalle dimensioni continentali quindi la situazione non è uguale in tutte le regioni. Qualche città ha dichiarato il lockdown, anche se le continue e agressive manifestazioni e i messaggi contradditori dei movimenti alleati al Presidente, non rendono facile la situazione.
Noi come Comunità abbiamo seguito le normative dell’OMS, confrontandoci con la Comunità in Italia e rispettando i protocolli elaborati in Brasile per l’accoglienza nelle Comunità Terapeutiche visto che queste ultime sono considerate servizi essenziali. Alcuni centri diurni sono stati chiusi, svolgendo attività online con i bambini e distribuendo alimenti per le famiglie dei bambini e giovani che frequentano i centri. I servizi di accoglienza continuano le loro attività secondo le nuove normative di sicurezza. A Coronel Fabriciano la Comunità Terapeutica collabora con il municipio nella distribuzione di alimenti, visto che la struttura è localizzata in uno dei quartieri di periferia ed è riconosciuta dalla comunità locale”.
Lei è a contatto con giovani tossicodipendenti tutti i giorni, com’è il problema droga in Brasile?
“Il Brasile oggi ha il più grosso mercato al mondo per il crack e il secondo per la cocaina, dopo gli Stati Uniti. Il crack attualmente è la maggior preoccupazione delle autorità in quanto un terzo dei consumatori muore nel giro di 5-10 anni.
Numeri che fanno paura, soprattutto se si pensa che fino a una quindicina di anni fa il crack era praticamente sconosciuto in Brasile. Altro dato sconcertante è l’aumento dei consumatori. Si pensi che il 60% della cocaina esportata dalla Bolivia viene utilizzata dai brasiliani. Questo consumo maggiore ha fatto diventare il Brasile uno dei paesi con più omicidi al mondo. L’ultima ricerca del Mapa da Violência è del 2017 e parlava di 67.000 omicidi in un anno, circa 180 al giorno, la maggior parte tutti legati alla droga.
La Comunità Terapeutica di Coronel Fabriciano è operativa dal 1992, una delle prime missioni avviate dalla APG23 all’estero.
In comunità terapeutica ci chiedono di entrare persone disperate che oltre alla droga caricano sulle spalle situazioni di estrema violenza e con una prospettiva di recupero molto critica, visto che oltre alla dipendenza della droga c’è il quadro di salute mentale spesso compromesso dall’abuso di questo tipo di droghe”.
E la Comunità come vive?
“Non neghiamo un certo timore per l’attuale periodo, ma la nostra presenza è importante con i ragazzi, riproponendo in questo período di pandemia un progetto di vita che possa far riscoprire l´importanza delle piccole cose; la lettura della realtà attraverso il vangelo che è qualcosa di concreto, fatto di piccoli gesti, nel rispetto dell´altro e che faccia riscoprire nuovi modi di relazionarsi con Dio, con la natura e con gli altri.
Un saluto con grande affetto e un grazie al Ponte che in tutti questi anni ci ha fatto sentire Rimini più vicina!”.
StefanoVitali