Nel 1964 a Stoccolma Margareta Giordano Lokrantz (1935-2004) pubblica L’opera poetica di S. Pier Damiani, contenente la descrizione dei manoscritti e la loro edizione. Tra i componimenti più famosi, c’è il n. XCIX, ovvero il “Bennonis Epitaphium”, come è intitolato nella Opera omnia apparsa Parisiis, Sumptibus Caroli Chastellain, MDCXLII, e riedita nel 1743 sempre a Parigi.
Rimini, piangi
Eccone il testo completo (ed. 1964): <+cors>“Ariminum, luge, lacrimarum flumina funde;/ Laus tua Benno fuit, pro dolor ecce ruit./ Benno decus regni, Romanae gloria genti,/ Ipse pater patriae, lux erat Italiae./ Hunc socium miseri, durum sensere superbi;/ Lapsos restituit, turgida colla premit./ Fit leo pugnanti frendens, tener agnus inermi;/ Hinc semper iustus perstitit, inde pius./ Hic fidei dum iura colit, dum cedere nescit,/Firma tenens rigidae pondera iustitiae,/ Reticolae iugulus prauorum pertulit ictus./ Per quem pax uiguit, bellica sors perimit./ Obsecro, tam diram sapientes flete ruinam/ Et pia pro socio fundite uota Deo”<+testo_band>.
Il v. 12 è edito da Lokrantz come “per quem pax uiguit, bellica sors perimit”, anziché il classico “bellica sors periit”, per cui abbiamo: “la guerra uccise colui per merito del quale fiorì la pace” (anziché “per lui fiorì la pace, la guerra cessò”). Questa traduzione è contenuta in un testo pubblicato nel 1965 dal prof. Scevola Mariotti, in cui si ricorda come la nuova lettura del v. 12 offerta da Margareta Lokrantz, comporti conseguenze “di ordine storico”. Mariotti precisa: “…a quanto pare, Bennone fu ucciso in un fatto di guerra”. D’ora in avanti chiamiamo Benno il personaggio detto Bennone da Mariotti, seguendo lo stesso Pier Damiano che inizia così l’epitaffio: “Ariminum, luge, lacrimarum flumina funde; / Laus tua Benno fuit”.
Luce dell’Italia
L’accenno contenuto nell’epitaffio sarebbe l’unica testimonianza pervenutaci di lotte locali tanto violente da giungere all’uccisione di un capo politico cittadino. Benno infatti è definito da Pier Damiano “onore del regno, gloria della stirpe romana, padre della Patria, luce dell’Italia” (“Benno decus regni, Romanae gloria genti, / Ipse pater patriae, lux erat Italiae”, vv. 3-4). Padre della Patria o della città era chiamato il rappresentante della vita municipale che doveva vegliare alla difesa del Comune sotto il dominio della Chiesa romana. Era una figura ben distinta dal Conte, il quale era un delegato pontificio o imperiale. Uomo giusto e pio, severo con gli oppositori ma dolce con gli indifesi, Benno è quindi dato da Pier Damiano per ucciso nel corso di una guerra: “lui, per merito del quale fiorì la pace”, fu forse vittima di una lotta sulla cui origine possono essere avanzate soltanto ipotesi, connesse al ruolo politico svolto dallo stesso Benno.
Uomo di fede e difensore degli interessi della Chiesa (altrimenti Pier Damiano non l’avrebbe glorificato), mentre la feudalità laica mirava ad una sostanziale autonomia politica ed aumentavano i sostenitori dell’indipendenza cittadina, Benno probabilmente non riuscì a pervenire ad una sintesi originale tra mondo laico ed ecclesiastico, per conciliare gli interessi “particulari” cioè cittadini con quelli della sede di Pietro.
I riminesi possono aver visto in Benno un capo che finiva per essere più il rappresentante del Pontefice (come il Conte) che della loro stessa comunità. E quindi possono aver cessato di considerarlo come un’espressione della giustizia e dell’equilibrio nei rapporti fra la città e Roma. Nell’additarlo pubblicamente come traditore, sarebbe stata così scritta la sua condanna a morte. Portata ad esecuzione nell’anno stesso della fondazione del monastero di San Gregorio in Conca, il 1061.
Antonio Bianchi
Delle lotte precomunali a Rimini si occupa Antonio Bianchi all’inizio del cap. 12 della sua Storia di Rimino dalle origini al 1832, come necessaria introduzione alla raccolta delle notizie elencate in successione cronologica: “Se la prima metà di questo secolo non fu totalmente pacifica pel nostro paese, peggiore di molto dovett’essere l’altra metà, giacché alleggeritosi in Italia il predominio dell’autorità imperiale, crebbe talmente lo spirito d’indipendenza, che ogni città, ogni vescovo ed ogni conte, insomma qualsiasi persona potente, che avesse mezzi da sostenersi voleva farla da padrone assoluto…”.
Bianchi scrive sul ruolo del “pater civitatis”: “Oltre i conti, altra autorità esisteva nelle nostre città col titolo di pater civitatis, che doveva essere il capo della magistratura civile; il più antico di cui ci sia rimasta memoria è un certo Bennone, morto fra il 1028 e il 1061; del medesimo abbiamo un pomposo elogio scritto da San Pier Damiano, il quale aveva ottenuto dallo stesso Bennone e da altri di sua famiglia molti terreni, sopra uno dei quali fabbricò il monastero di San Gregorio in Conca, che nel 1071 lo stesso San Pier Damiano mise sotto la protezione del vescovo di Rimini e dei suoi successori. Molto ricca e potente era la famiglia di quel Bennone, possedendo castelli e molti terreni”, come si ricava dai documenti pubblicati dal canonico Angelo Battaglini nel 1783.
Sotto l’anno 1060, Bianchi osserva: “Goffredo duca di Toscana […] fa eseguire un concordato fra l’abbate di Pomposa ricorrente contro alcuni ivi nominati, i quali promisero di non recare alcuna molestia tanto nelle persone che ne’ beni di detta abbazia esistenti nel Contado di Rimini: vi erano presenti, fra molti altri” il vescovo di Rimini e due giudici della stessa città, uno dei quali è “Petrus de Benno”, ovvero Pietro figlio del Benno da cui siamo partiti. Nel 1060 il Pater Civitatis ricordato è Bernardus. Pietro figlio di Benno è divenuto celebre per un’altra donazione del 1069 a favore dello stesso Pier Damiano. Nel 1070, Pier Damiano dona il monastero di San Gregorio in Conca al Vescovo di Rimini.
Battaglini e Tonini
Nelle Memorie istoriche di Rimino e de’ suoi signori> pubblicate da Francesco Gaetano Battaglini (fratello di Angelo) a Bologna nel 1789, leggiamo un ricordo sia di Benno (“Bennone di Vitaliano”) sia di suo figlio Pietro. Battaglini osserva su Benno che non si può “credere, che ad un uom sì giusto, e sì reputato, e che pel governo da sé fatto meritò encomio sì degno, fosse prima di sua morte tolta di mano la bilancia della giustizia”.
Carlo Tonini (1835-1907) nel primo volume del suo Compendio della Storia di Rimini (1895), presenta una pagina del tutto originale. Dall’elogio che ne fa Pier Damiano, “risulta chiaramente che questi fu un intrepido e sapiente amministratore di pubblica giustizia; quanto mite e pio verso i miseri, altrettanto rigido e severo coi superbi […]. E non potrebbe forse inferirsi da ciò, che ei cadesse vittima delle vendette d’alcun nemico potente, che avesse provato i rigori di quella sua cotanta ed inflessibile giustizia? E non varrebbe per avventura a confermarci in questo sospetto segnatamente il penultimo verso dell’elogio – Obsecro tam diram sapientes flete ruinam? A noi pare che il Damiani non avrebbe usata una simile espressione, se il grand’uomo fosse morto placidamente nel suo letto e nella pienezza de’ giorni suoi”.
Tonini ricorda: Damiano scrive di Benno che “pravorum pertulit ictus”. Il problema non è, come è stato scritto, di dare una “versione più neutra, che esclude ogni riferimento a effettive vicende politiche riminesi” nella traduzione dell’epitaffio. Ma d’intendere il senso di quello che si legge nel passo così ben spiegato da Tonini: “pravorum pertulit ictus”. Tonini cominciò a dubitare che “il grand’uomo fosse morto placidamente nel suo letto”. Non si possono scrivere le storie di quei momenti ignorando le pagine di chi se ne è già occupato, addirittura nel 1895, con una prospettiva innovatrice per interpretare i fatti e le figure di cui si parla.
Lena Vanzi