Per il tradizionale appuntamento riminese di Capodanno con l’opera lirica il Coro Galli ha scelto Rigoletto, tra i più popolari titoli verdiani
RIMINI, 3 gennaio 2020 – Da sempre Rigoletto è uno dei titoli più gettonati del repertorio operistico. Nel bene e nel male questo significa che se ne ascoltano versioni diversissime tra loro, da quelle star system dei grandi teatri (sempre meno frequenti, perché il confronto con gli allestimenti del passato incute troppa soggezione e finisce con lo scoraggiare nuove messinscena) alle varianti di provincia, che – al contrario – sono assai più numerose, essendo disposte a correre quei rischi di chi ha meno da perdere in termini di prestigio.
Quest’anno anche il Coro riminese “Amintore Galli” ha scelto di proporre, per il tradizionale appuntamento di Capodanno, il popolare titolo verdiano: uno spettacolo – come già altre volte in passato – con la regia di Paolo Panizza, valorizzata dalle funzionali scene di Franco Armieri e dai colorati costumi di Carla Galleri d’ispirazione cinquecentesca. L’allestimento, del tutto tradizionale, aveva il grande pregio di essere attento ai minimi dettagli, in modo da facilitare la perfetta comprensione della vicenda a un pubblico, come quello riminese, ormai poco abituato all’opera lirica. L’utilizzo poi della compagnia teatrale Ragazzi del Lago (diretta da Carlo Tedeschi), cui erano affidate le danze (coreografate da Anna Maria Bianchini), per animare la festa che si svolge nel palazzo del Duca di Mantova, ha aggiunto una piacevole nota di vivacità e dinamismo.
La parte musicale era affidata all’Orchestra della Scuola del Teatro Comunale di Bologna, diretta da Massimo Taddia che è riuscito a condurre in porto un’esecuzione scorrevole, nonostante alcune titubanze iniziali dei fiati nel preludio, effettuando qualche taglio di tradizione e, per fortuna, mantenendo solo alcune delle discutibili puntature sedimentate dalla prassi esecutiva. Preparato da Matteo Salvemini, il coro riminese (che in quest’opera è solo maschile), oltre ai componenti del Galli, era integrato anche da alcuni giovani dei Ragazzi del Lago.
Come spesso succede per gli spettacoli di provincia, le maggiori incognite sono legate al cast. Questo non implica automaticamente che bisogna aspettarsi cantanti modesti: spesso ci si imbatte in artisti di un certo calibro – magari in fine carriera – e talvolta possono persino esserci delle sorprese, soprattutto fra quelli più giovani che stanno muovendo i primi passi. Il baritono Andrea Zese è un veterano del ruolo di Rigoletto, che ha cantato innumerevoli volte: la voce ha perso di rotondità per l’inevitabile trascorrere degli anni e la linea di canto appare nell’insieme piuttosto piatta, ma si possono ancora apprezzare i fiati e, soprattutto, gli accenti che ha saputo imprimere al personaggio. Altra fascia anagrafica quella dei coprotagonisti. Se è meglio dimenticare il tenore Carmine Riccio (Duca di Mantova), dal canto disomogeneo e spesso scompaginato, la vera sorpresa è venuta dal soprano giapponese Ayako Suo: una Gilda d’impeccabile precisione e dizione molto nitida, che non nasalizza mai i suoni – qualità tutt’altro che scontata per un’orientale – e sempre scrupolosa nel rispettare le indicazioni verdiane (ben percepibili gli ‘staccati’ di Caro nome). Paolo Battaglia è riuscito a disegnare un convincente Sparafucile, grazie a una voce che mantiene la timbratura negli affondi più gravi del personaggio e, accanto a lui, ha ben figurato Antonella Colaianni, una Maddalena dal colore autenticamente mezzosopranile. Degno di nota, fra i comprimari, solo Luca Gallo, un icastico Ceprano.
La recita era dedicata alla memoria di Lukas Franceschini, critico musicale veronese e grande esperto di voci. Chi lo ha conosciuto sa che di molte ingenuità avrebbe sorriso: nonostante ciò, era ben consapevole di come il tessuto connettivo della tradizione operistica italiana passasse per la provincia.
Giulia Vannoni