“Dodici ore di volo mi separano da quegli occhi, da quegli sguardi, da quei sorrisi, dalle quelle manine che cercano il calore delle mie. Migliaia di chilometri ad oriente del mio universo quotidiano, ho trovato piccoli grandi gesti carichi di significato, di affetto, di emozioni, di speranza. Il pensiero che mi lega a questa gente è un filo invisibile che varca ogni confine, ma, sono certa, ci terrà sempre in contatto. Sono appena tornata da questo incredibile viaggio e loro già mi mancano; non posso far finta che non sia successo niente, ripartirei subito per tornare là, in Bangladesh!”.
Ma di chi stiamo parlando e chi è così emotivamente coinvolta tanto da sentire, solo a pochi giorni dal ritorno, la nostalgia di queste persone? È Edwige Giovagnoli, fondatrice dell’associazione Ric-Amando di Coriano, che parla un po’ a nome di tutte le partecipanti del viaggio in Bangladesh raccontando, insieme a Patrizia Baiardi, Argentina Tamburini, Mariangela Sarti, Barbara Bernardi e Vincenzo Frascogna, piccoli aneddoti, storielle e impressioni personali, su un viaggio che ha contribuito a portare una solidarietà fatta di cose diverse dal solito.
È stato un percorso difficile?
“Undici anni fa Patrizia Baiardi fondò, in memoria della figlia, il Carlotta Center a Dhaka. Conoscendomi, pensò di organizzare brevi corsi di ricamo per dare una possibilità a queste donne, una volta imparato, di guadagnare onestamente qualche soldo e avere una condizione di vita più accettabile. Quest’anno sono partita anch’io”.
Quanto tempo avete soggiornato a Dhaka?
“Quindici giorni: dal 22 gennaio al 6 febbraio, alcune di noi volevano vedere il Carlotta Center e la missione fondata da Madre Luisa Falsetti, che da 14 anni vive e opera a Dhaka, la capitale del Bangladesh. Madre Luisa iniziò l’attività e l’opera missionaria ospitando bimbi di famiglie povere e disagiate, con l’intento di donare loro non solo un tetto sotto cui ripararsi; qui, per i piccoli, si svolge un doposcuola, utilissimo ai fini dell’apprendimento e della cultura. Inoltre vengono redatte schede personali che ha aggiornato Vincenzo)con notizie utili: nome del bimbo, dati e riferimento della famiglia italiana che lo ha adottato a distanza… Due volte l’anno (Natale e Pasqua) il bimbo scrive una letterina alla sua famiglia che va tradotta dal Bengoli all’inglese, quindi in italiano“.
“Le maestre delle scuole pubbliche che fanno lezione al mattino – spiega Madre Luisa – sono mal pagate e hanno classi molto numerose; sono contente se noi facciamo fare, al pomeriggio, un ripasso. L’istruzione è a livelli veramente impensabili. Parlando con alcune giovani donne, madri dei piccoli che ospitiamo, ho capito che non conoscevano neppure la loro età! Vivono nell’ignoranza più completa. Per questo è stato difficile insegnar loro a contare i fili delle trame dei tessuti da ricamare; se occorrono 16 fili e ne mettono di più il ricamo risulta difficile, specialmente per una persona che non sa contare”.
Con Patrizia si torna a parlare dei bambini.
“Nel Centro Carlotta vivo la dolcezza e la speranza di poter donare un po’di amore, di serenità, di letizia a questi bimbi così sfortunati, ma generosi. Pensi, per dimostrarmi il suo affetto durante la merenda, un bimbo mi ha portato un suo biscotto dei 4 che gli avevamo dato e questo gesto mi ha toccato il cuore”.
Con le offerte raccolte cosa avete acquistato?
Abbiamo organizzato, sotto un tendone colorato, un grande pic-nic; i bimbi e le mamme hanno ricevuto vivande calde appena cucinate: una porzione di riso, pollo, verdure e frutta. Biscotti a merenda, succhi di frutta o altri dolcetti. Ci siamo commosse nel vederli arrivare in fila, tenendosi per mano, puliti, ben pettinati, ordinati, indossavano la maglietta rossa del Centro, i calzoncini blu e, ai piedi calzavano un esercito di scarpe. Ben 320 paia, acquistate con le offerte. Scarpe da tennis e bellissime ciabattine infradito”.
Più che mai vivi e presenti nella mente, i ricordi si fanno strada.
“Non potendo comunicare con noi, ricordo quegli incredibili occhi che mi parlavano, ai quali ogni tanto ripenso, e questi hanno un volto e un nome: c’è Musharà, Inal, Amin, Mustafà e come dimenticare il dolce sorriso di Sofna, la grazia di Shilley, la sensibilità di Satna, la naturalezza di Nazima, fanciulle che ho conosciuto a Dhaka. Io mi reco in Bangladesh ogni anno; è un posto unico, sembra dimenticato dal mondo. Siamo partite con una valigia pesantissima, oltre 40 kg per poter portare laggiù molto lino e cotone colorato per farlo ricamare alle donne del villaggio. Siamo tornate con le valigie stracolme di bellissimi tovagliati e biancheria ricamata da vendere. Grazie al ricavato di quei ricami, che vengono da così lontano, tutti potranno vivere un po’ più decorosamente. I bimbi? Sono meravigliosi. Hanno giovato al mio spirito; in fondo non esiste essere che non venga dall’anima e non appartenga all’anima”.
Laura Prelati