Quello delle raccomandazioni è un malcostume inveterato: sembra proprio che senza raccomandazioni non si sia mai potuto andare avanti. Anche le città sono sempre state alla ricerca di raccomandazioni; oggi si affannano ad eleggere dei parlamentari “amici”, mentre una volta sceglievano con cura e nominavano un “cardinal protettore” che ne curasse gli interessi presso la corte papale; inoltre eleggevano uno o più “santi patroni” che ne curassero gli interessi in Cielo presso la Divinità. Naturalmente tutti – protettori terrestri e celesti – venivano blanditi e festeggiati in determinate ricorrenze con doni e cerimonie solenni. Oggi i cardinali protettori sono stati sostituiti da senatori e deputati; i santi patroni invece sono stati semplicemente dimenticati, forse perché ritenuti poco utili. Chi sarà (o sarà stato) il santo patrono di Rimini? Forse san Gaudenzo? No; questo santo è il patrono della Diocesi, non della Città.
L’elenco dei santi patroni della nostra Città ci viene fornito da uno dei suoi primi storici, Cesare Clementini, che ce ne ha dato un preciso elenco gerarchicamente ordinato. Eccolo: “La Regina de’ Cieli, S. Godenzo Vescovo e Martire, S. Giuliano Martire, S. Antonio Confessore, S. Colomba e S. Innocenzia Vergini e Martiri”. Siamo nel 1617; negli anni successivi questo elenco verrà accresciuto di parecchie unità, ma al primo posto rimarrà sempre la “Regina de’ Cieli”, cioè la Madonna, la cui immagine i Consoli cittadini vollero collocare sull’angolo del palazzo comunale, a dominare la piazza e tutta la città. Si tratta di una bella statua in bronzo raffigurante la Beata Vergine della Concezione, cioè l’Immacolata, collocata nella sua nicchia il 24 marzo 1696 e tre anni dopo ornata, oltre che da un baldacchino bronzeo, da un fanale che i donzelli del Comune, in livrea, dovevano accendere tutte le sere all’Ave Maria, e in alcune occasioni particolari al suono delle trombe. Questa immagine della Madonna c’è ancora, miracolosamente sopravvissuta anche ai bombardamenti dell’ultima guerra; e anche il fanale c’è ancora, ma è stato sostituito nell’uso da un’aureola di lampadine elettriche che non hanno più bisogno di donzelli per venire accese.
Negli statuti medievali di Rimini non si trovano notizie o elenchi di santi protettori; ma nel loro quarto libro si stabiliva che ai bestemmiatori venisse comminata una multa doppia se la bestemmia riguardava Dio e la Madonna (e il taglio della lingua se la multa non veniva pagata: altri tempi). Va considerato inoltre che l’unica chiesa di proprietà comunale era (ed è ancora) quella della Colonnella, eretta all’inizio del XVI secolo e dedicata appunto alla Madonna. Ma non è chiaro se la Madonna fosse molto contenta dei riminesi. Il primo miracolo mariano di cui si ha notizia a Rimini è attribuito al Duecento e ha dato origine alla chiesa delle Grazie, che però non conserva più l’immagine miracolosa originale, scolpita da un pastore e perfezionata dagli angeli: infatti ha voluto subito andarsene da Rimini (emigrata o, meglio, fuggita da una città abitata da uomini di “dura cervice”?) per fermarsi a Venezia, vicino alla chiesa di San Marziale, dove ancor oggi è nota e venerata come la “Madonna di Rimini”.
Sappiamo benissimo che i combattenti medievali per farsi coraggio usavano come grido di battaglia, prima e durante le cariche, il nome del santo protettore della loro città. Per cui – per esempio – i veneziani andavano all’assalto gridando “Per san Marco!”, e i genovesi “Per san Giorgio!”. Evidentemente serviva per gasarli un po’, come oggi nelle squadre americane i balli e le urla degli indiani. Fino a ieri non mi sono mai spiegato perché nel medio evo le truppe riminesi le prendevano sempre, anche dai vicini cesenati. Adesso sono quasi propenso a credere che ciò accadesse per la mancanza di un analogo grido di battaglia; infatti se il principale protettore di Rimini era la Madonna, i soldati non potevano certo andare all’assalto urlando “Per la Madonna!”, che sarebbe sembrato piuttosto un’imprecazione.
Ma forse questo è solo un cattivo pensiero, certo non adatto al mese di maggio; e anzi la mia devota moglie (che non a caso si chiama Maria Pia), mi ha severamente “ordinato” di cancellare tutto l’ultimo capoverso di questa breve nota. Però disubbidisco, cosciente di essere un discolo, e lasciandone la responsabilità al direttore de il Ponte.
Pier Giorgio Pasini