Rimini gioca in due tempi: quello degli eventi e quello della crisi. Da una parte gli appuntamenti della riviera a suon di zeri, dall’altra le difficoltà economiche con riduzione dei consumi, buste paga congelate, posti di lavoro dimezzati. “Una contraddizione latente, che va a discapito della cultura”, lamentano a gran voce gli intellettuali della città, tutti accomunati da un unico pensiero: “Basta eventi come sinonimi di «fare cultura»”. Con l’intento di bloccare il sapere declinato a puro intrattenimento, insomma, questi riminesi si aggrappano forte al timone della cultura con la C maiuscola, “sperando che il 2009 non sia più pietoso di quello appena trascorso”. Le soluzioni per raggiungere la meta assomigliano a una medicina da prendere a piccole dosi quotidiane: ripartire da semplice iniziative, puntare su valori solidi, ripensare la storia di Rimini, esercitare la riflessione.
Un tuono
Il primo a tuonare senza mezzi termini è Mario Guaraldi: “È sempre più evidente un impoverimento culturale generalizzato. – attacca l’editore – Rimini in questo senso è ridotta al lastrico, perché vive con leggerezza una situazione culturale d’emergenza. Basta con spettacoli assurdi e di basso livello come la serata in tivù di San Silvestro, che regala fama ma non dignità”. Parole pesanti, le sue, che non escludono, comunque, un certo ottimismo per il futuro: “Bisogna prestare attenzione a ciò che rimane, a quei resti piccoli, ma significativi, dai quali è possibile ricostruire un «fare cultura» nobile“.
Città patinata?
L’influenza negativa di questa Rimini patinata la sente anche lo scrittore Piero Meldini, che si augura, per il 2009, “l’eliminazione delle spese folli, come quelle fatte per il Capodanno scorso o la Notte Rosa, e finanziamenti mirati ad attività di maggiore spessore, come il rifacimento del Fulgor e la creazione di un centro delle attività cinematografiche”.
La cultura costretta dal giogo dell’intrattenimento ha stancato anche il giornalista e scrittore Michele Marziani. La parola chiave della sua riflessione è “ripensamento”, ovvero: “Ridefinire i modi in cui si realizza la cultura, seguita da altri due intenti: sobrietà e socialità”. Proprio per questi motivi, secondo Marziani, Rimini dovrebbe intendere la cultura “non solo come evento di consumo immediato, ma come un qualcosa di più sociale e continuativo”. Un esempio? “Durante la Notte Rosa, in riviera, ci sono circa 100 concerti: impossibile seguirli tutti. Meglio spalmarli in giorni diversi, creando qualcosa che non sia solo un evento fine a se stesso”. E ancora: “Rimini può salvarsi ricordando la sua storia attraverso le testimonianze viventi, come il Museo della piccola pesca, nei meandri più nascosti di Viserbella. Lo conosce qualcuno? No. Eppure la pesca ha rappresentato il sistema di vita del ’900 in riviera e ora è ricordata con un museo striminzito. Dopo aver acquisito il fatto di essere meta turistica, i riminesi dovrebbero ricostruire la loro storia”.
Basta cultura, please
Va controcorrente la giornalista e scrittrice Lia Celi, che con sagace ironia puntualizza: “Basta parlare di cultura: se ne fa fin troppa e male; per il minimo evento pseudo culturale, frotte di riminesi si spostano all’unisono. Il problema è di riflessione, attività a cui nessuno si dedica. Riflessione su se stessi, su un sistema organizzativo migliore, sul vivere civile e sulle buone maniere, praticamente scomparse”. Basta un esempio, semplice ma indicativo: “La città pensa alla realizzazione di rassegne teatrali, concerti musicali e altri avvenimenti del genere, ma dimentica di costruire una pista ciclabile sicura o un passaggio pedonale con le strisce. Il risultato è che si rischia di essere travolti mentre si sta andando a teatro!”. Un paradosso venato di sarcasmo, quest’ultimo, con il quale la giornalista vuole esprimere un concetto chiaro: “Quelle virtù di cui parlavano i nostri nonni, come la continenza e la temperanza, sono ormai desuete e poco plasmabili a questa società”. Crisi come occasione per rifiorire? Lia non è d’accordo. “Magari possiamo essere rieducati a un diverso tipo di cultura e cambiare il nostro approccio nei suoi riguardi – conclude la Celi -. Certo, se la crisi deve servire addirittura per redimerci, allora mi viene da pensare che siamo messi proprio male!”.
Marzia Caserio