Il Parlamento della Repubblica Italiana non è più quello di prima.
Il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, per il quale tutti gli aventi diritto erano chiamati a esprimersi il 20 e 21 settembre, ha visto un risultato che non lascia spazio ad ambiguità. Netta, infatti, la maggioranza dei Sì: 69,64%, oltre 17 milioni di votanti, contro il 30,36% dei No (circa 7 milioni e mezzo di voti), per un’affluenza totale del 53,84% degli aventi diritto. Con questo risultato, dunque, cambia il volto del Parlamento italiano, almeno a livello quantitativo.
Cosa succede ora
Cosa accadrà nello specifico? Il risultato referendario, atto finale di una proposta di legge costituzionale approvata in via definitiva nell’ottobre 2019, porta alla modifica degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione. La novità principale è, ovviamente, la riduzione del numero dei parlamentari, che passeranno da 945 a 600. Nello specifico, alla Camera i deputati passeranno da 630 a 400, mentre al Senato i rappresentanti scenderanno da 315 a 200. Cambia anche il numero di possibili eletti nella circoscrizione estero di entrambe le Camere: per i deputati si passa da 12 a 8, da 6 a 4 per i senatori.
Cambia, inoltre, anche il numero medio di abitanti per ciascun parlamentare eletto: per la Camera dei deputati tale rapporto aumenta da 96.006 a 151.210, mentre al Senato si passa da 188.424 a 302.420. In particolare, la modifica dell’articolo 59 della Carta costituzionale porta alla possibilità di avere un numero massimo di senatori a vita non superiore a 5.
Quando accadrà?
Secondo quanto stabilito dalla legge, la riduzione dei parlamentari avrà effetto dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della legge costituzionale e, comunque, non prima che siano decorsi sessanta giorni.
I risultati a Rimini
In linea con i risultati referendari nazionali i dati delle 324 sezioni scrutinate in provincia di Rimini. Circa un riminese avente diritto su due si è recato alle urne, per un’affluenza del 51,59% (131.518 voti): di questi, è risultato favorevole al taglio dei parlamentari il 70,11% (91.728), contro il 29,89% (39.104) dei No ( i risultati Comune per Comune nell’immagine a sinistra).
“ La vittoria del Si – è il commento del sindaco di Rimini Andrea Gnassi – è la decisione degli italiani di aprire una nuova fase di un progetto radicalmente riformista. Una decisione netta, che rimette al centro la volontà popolare di avere peso nelle scelte che in una democrazia si fanno, con i territori, con i Comuni, che devono avere il giusto peso nell’architettura istituzionale. Il Sì non è però una sconfitta del No. – tiene a precisare il primo cittadino riminese – Si sbaglierebbe a interpretare questo voto come una lotta cruenta tra fazioni opposte. Le ragioni del No devono entrare nel percorso cominciato oggi con il Si. Oggi, quindi, è la prima tappa di un lungo viaggio. Ripeto, un lungo viaggio da fare tutti insieme. E le persone hanno deciso di partire. Anche i riminesi”.
I precedenti
La tornata referendaria appena conclusa non è il primo caso in cui i cittadini si sono espressi per riformare la Costituzione. Quello sul taglio dei parlamentari è il quarto referendum costituzionale confermativo della storia della Repubblica: nei tre precedenti, due volte la legge è stata respinta dagli elettori, una sola è stata approvata. Il primo è quello del 7 ottobre 2001 quando si tenne il referendum per confermare o no la riforma del Titolo V della Carta, approvata dalla maggioranza dell’Unione negli anni dei governo Prodi, D’Alema e Amato: passa con il 64,2% di voti favorevoli anche se l’affluenza si ferma poco oltre il 34%. Il secondo caso di referendum confermativo, (25-26 giugno 2006) ha riguardato la riforma costituzionale varata dal governo Berlusconi: la cosiddetta ‘devolution’, bocciata con il 61% mentre i votanti raggiungono il 52%. Il 4 dicembre 2016 è il turno del referendum sul disegno di legge costituzionale della riforma Renzi-Boschi, che puntava tra l’altro a superare il bicameralismo perfetto ai danni del Senato.
La riforma fu bocciata dai votanti, portando alle dimissioni del Governo Renzi: 59,11% dei No contro il 40,89% dei Sì.