Uno dei centomila motivi che rendono unico il nostro paese è che un anno ti trovi ad andare a votare in infradito e l’anno dopo ci vai coi Moonboot. Dell’atipica campagna elettorale di queste elezioni politiche marzoline abbiamo già ampiamente parlato. E uno degli effetti, causa tempi stretti e stagione non propizia, è stata anche la quasi totale assenza del rituale del taglio del nastro, che invece sotto elezioni per tradizione tende a moltiplicarsi esponenzialmente. Certo, le amministrazioni di qualsiasi colore ci hanno tenuto a far presente i loro impegni, progetti, attività, risultati. Perché tutte sono le amministrazioni «del fare», differenziandosi quindi da quelle del solo «dire» (ma anche da quelle del «baciare», «lettera» e «testamento»). E in molti hanno assicurato che in primavera di cantieri in partenza, in travolgente avanzamento o in conclusione, ce ne saranno quanti se ne vogliono. Anche per rassicurare gli umarell che in questi giorni sono purtroppo costretti a stare al chiuso. E a nessuno è venuto per fortuna in mente di fare un simbolico taglio del nastro per ogni buca in strada riparata in questi giorni. I rattoppi vanno bene anche senza taglio. Grazie.
Il Caffè Scorretto di Maurizio Ceccarini