Amato di nome e di fatto. Per tutta una vita si è dedicato allo studio, alla conoscenza e alla divulgazione del suo concittadino Amato. Chi più di don Mario Molari ha esultato alla notizia della santificazione del laico di Saludecio, che papa Francesco ha messo in programma il prossimo 23 novembre a Roma?
80 anni, un lunghissimo servizio in parrocchia ed ora una fruttuosa ”pensione” alla casa del Clero (“la vita con i confratelli è bella, siamo una bella famiglia, una comunità che prega e sta assieme con gioia e nella fraternità”), don Mario è il biografo principe del beato Amato da Saludecio (si legga, ad esempio, il corposo e appassionato La vita di Sant’Amato di Saludecio, edizioni ilPonte), al quale ha dedicato una vita intera di preghiera, studio e passione.
La notizia della canonizzazione di Ronconi arriva a una decina di anni dal miracolo attribuito al beato nei confronti di un bambino emiliano. Amato Ronconi nasce lo stesso anno in cui muore San Francesco, alla cui spiritualità questo uomo del 1200 – ma dai tratti attualissimi – si abbevera.
Sia sincero, don Mario. Cosa ha provato alla notizia della santificazione del beato Amato, il 23 novembre in piazza San Pietro?
“La attendevo nel mio intimo. Questa notizia mi ha procurato una grande gioia, una gioia grande. La canonizzazione di Amato è un avvenimento atteso dalla comunità parrocchiale, dai paesi vicini, anche delle Marche che venerano il santo e da tutta la Chiesa riminese”.
Lei lo ha frequentato sin da bambino.
“Merito di mia madre e della mia famiglia. A Sant’Ansovino, dove sono nato, una piccola frazione di Saludecio, e in tutto il territorio comunale e dell’intera Valconca la figura di Amato era molto conosciuta e pregata. Vi era una profonda devozione nei confronti di questo laico, del terz’ordine francescano, che nel 1200 visse come figurae Christi e sulle orme di San Francesco, con profonde e fertili intuizioni religiose e sociali. Già nei primissimi anni di sacerdozio (don Mario è stato ordinato presbitero il 22 dicembre 1945, ndr) ho iniziato ad approfondirne la figura attraverso uno studio appassionato e – per quanto ho potuto – sistematico: sui libri e sui documenti, negli archivi parrocchiali e in quelli vaticani e della Camera Apostolica, studiando scritti in italiano e in latino che ho personalmente tradotto e ritradotto più volte. Mi ha accompagnato per tutta la vita”.
Quali sono a suo giudizio i tratti salienti di questa figura, il primo santo tutto riminese?
“Amato è stato un innamorato di Dio. Poi la spiritualità francescana, innestandosi su quella benedettina dell’ora et labora, ne ha ispirato la vita.
È il primo «laico» a vivere l’esperienza mistica e l’assistenza ai poveri come vie di santità. Un uomo che dalla «sperduta» collina di Saludecio, è partito per conoscere il mondo, incamminandosi per ben quattro volte verso Santiago de Compostela, morendo nel 1292 nel corso del quinto pellegrinaggio verso la tomba dell’apostolo Giacomo. Ronconi ha fondato l’Ospizio dei Poveri Pellegrini di Saludecio, ora Casa di Riposo-Opera Pia.
Dispensando ai poveri l’eredità paterna ha scelto di essere agricoltore, dividendosi tra il lavoro dei campi e la preghiera. Ha intrapreso lunghi pellegrinaggi per sperimentare i disagi della povertà «reale». Da qui, la sua grande, modernissima intuizione verso i poveri: ha ampliato la casa paterna sul Monte Orciale per ospitare i pellegrini che si recavano nei santuari dell’Umbria o a Roma, confortando loro lo spirito e ristorando il corpo”.
<+nero>Un uomo veramente “in cammino”, morto per strada mentre viveva una vita da “pellegrino delle stelle”.
<+testo>“Amore verso Dio e amore nei confronti dei poveri: queste le direttive sulle quali si è mosso Amato e sulle quali invita anche noi, moderni cercatori di senso a muoverci. Pensi che bella eredità ci lascia quest’uomo del 1200: amare Dio e amare il prossimo, proprio come ha fatto lui, non solo a parole ma con la vita”.
<+nero>Per molti anni, però, la via verso la santità degli altari per Amato sembrava sbarrata. La <+nerocors>positio<+nero> ferma a Roma senza che si avessero notizie precise, collaboratori un po’ assenti, anche il territorio non era poi così attento alle vicende del suo beato. Non si è mai sentito solo, impotente e scorato di fronte a questa situazione?
<+testo>“Sinceramente non mi sono mai sentito abbattuto, né ho pensato perduta la vicenda di Ronconi. Ero fermamente convinto della fede di Amato, della maternità della Chiesa e della fantasia del Signore i cui pensieri e le cui vie spesso non sono le nostre. Il popolo lo venerava, come accade tutt’ora, anche in dialetto. Le mamme già lo chiamavano santo e invitavano: «<+cors>prega sant’Amèd<+testo>». Forse le autorità avrebbero potuto conservarne meglio la memoria, questo sì”.
<+nero>L’iconografia del beato Amato non è vastissima, però contiene diverse belle immagini. A quale è più affezionato?
<+testo>“Il quadro custodito nel museo di Saludecio, il Beato Amato in gloria attribuito a Giuseppe Soleri Brancaleoni <+cors>(utilizzato tra l’altro come copertina della biografia scritta proprio da don Molari, ndr)<+testo_band>. Lo sguardo del beato rivolto al cielo è indicatore della sua grande speranza e fiducia nel Padre. I piedi e le mani rivolte verso il basso, testimoniano il radicamento alla terra con gli occhi della fede”.
Paolo Guiducci