Non ha fatto parte di scuole pittoriche. Ha girato varie città, da Rimini a Padova, Venezia, Perugia, Firenze, sino a Bologna, alla ricerca forse dei suoi modelli e di un lavoro. Lasciando dietro di sé opere riconoscibili segnate da uno stile personale, fantasioso, pungente, dai connotati anche divertenti quando si prendeva la libertà di narrare, di andare oltre gli schemi. Un personaggio un po’ inquieto, Giovan Francesco da Rimini. Che a distanza anche di vent’anni dalla sua partenza dalla città natale, ci teneva a firmarsi con quel “da Rimini”, forse un segno di orgoglio per le proprie origini. Caduto un po’ nel dimenticatoio, è stato riscoperto da critica e appassionati all’inizio del ‘900.
A questo girovago dell’arte orgoglioso delle sue origini riminesi la Fondazione Carim ha dedicato il convegno “Raccontare Giovan Francesco da Rimini. Pittore sacro tra Gotico e Rinascimento”, sesto appuntamento de “I Maestri e il Tempo”. Di questo eclettico, visionario artista ponte tra il Gotico e il Rinascimento ha parlato lo storico dell’arte Valerio Mosso (nella foto a sx con Alessandro Giovanardi), che dal 2010 lavora presso la Soprintendenza di Torino, dopo aver conseguito il dottorato di ricerca a Bologna con una tesi proprio su Giovan Francesco da Rimini.
“La storia critica del pittore parte proprio dalle uniche due opere firmate e datate dell’artista, risalenti al 1459 e al 1461. Alla fine del Settecento – afferma Mosso – l’erudito bolognese Marcello Oretti ricorda di aver visto a Bologna queste due opere. Lungo tutto l’Ottocento non si sa altro, mentre la riscoperta delle copie si ha nel 1902 da parte di un grande storico dell’arte romagnolo, Corrado Ricci, che sulla rivista «La rassegna d’arte» pubblica un articolo dedicato al pittore riminese. Riscoprendo queste opere e pubblicandone le fotografie, Ricci ha dato inizio a una serie di attribuzioni di altre opere al pittore (in tutto una quindicina). Nella seconda metà del Novecento è stato un po’ trascurato, ma negli ultimi anni c’è maggiore interesse da parte degli studiosi, e l’artista è ricomparso nelle mostre di musei che possiedono le sue opere”.
Giovan Francesco nasce a Rimini, presumibilmente tra il 1415 e il 1420. Figlio di Simone, è ricordato per la prima volta a Padova nel 1441, iscritto alla locale “fraglia” dei pittori, dove compare già col titolo di magister, facendo presupporre che fosse giunto a Padova con un proprio bagaglio di esperienza e un mestiere appreso nella città natale. A Rimini all’epoca del mecenate Sigismondo Pandolfo Malatesta, Giovan Francesco ha modo di essere influenzato da un linguaggio pittorico veneto-adriatico con il quale si confronta anche a Padova agli inizi degli anni Quaranta.
A Padova, in cui rimane con certezza fino al 1444, è immerso in un contesto molto produttivo, circondato da pittori quali Pisanello, Iacopo Bellini, i Vivarini e i fiorentini Filippo Lippi e Donatello.
“In questi documenti dei primi anni Quaranta che riguardano il pittore – spiega lo studioso –, si vede comparire la figura di Francesco Squarcione, factotum di Padova, un sarto, ricamatore, pittore, oltre che una sorta di «talent scout», riusciva a capire quali fossero i pittori più promettenti e li prendeva sotto la sua ala. Tra questi il più noto è certamente Mantegna. È molto probabile che proprio qui Giovan Francesco realizzi una serie di quattordici tavole, che oggi si trovano in parte a Louvre, nel South Carolina e in una collezione privata americana, noti come Le Storie della Vita della Vergine. Di matrice culturale tardo-gotica sono, infatti, la minuzia descrittiva e la cura dei particolari”.
Non si hanno notizie a riguardo ma “a un certo punto della sua vita, Giovanni Francesco abbandona il Veneto, forse perché i cambiamenti della pittura veneta erano per lui troppo radicali, come quelli di Mantegna e dello stesso Donatello. Pur essendo sempre molto aggiornato, non rinuncerà mai a tanti aspetti della tradizione tardo-gotica”.
Nel 1450, si ha un documento che attesta la sua presenza a Rimini: “un Giovanni Francesco do pentore, è nel registro dei debitori di uno speziale riminese, che oltre a vendere erbe etc., vendeva pigmenti per pittori”. A questo periodo, secondo lo studioso, risale la Crocifissione, che si trova alla Pinacoteca nazionale di Ferrara.
Intorno al 1453 è a Perugia, attestato da un’opera che potrebbe essere un unico pannello, una pala unificata raffigurante la Madonna, il Santo Padre che “lancia” lo Spirito Santo in mezzo agli angeli e i due personaggi dell’Annunciazione.
“Dopo Perugia, si sposta a Firenze, dove il pittore, secondo me ha realizzato una predella con tre scomparti, di cui uno raffigura Cristo in pietà con due donatori e uno raffigura la Madonna”.
Giovan Francesco da Rimini muore nel 1470 probabilmente a Bologna, in povertà. Di questo artista, Rimini conserva nel Museo della Città due tavole acquistate dalla Fondazione Cassa di Risparmio, ritagliate da una Crocifissione, i dolenti la Vergine e San Giovanni Evangelista. Sono due figure, spiega Mosso, realizzate con uno stile che oggi definiremmo espressionista, per l’esasperazione della sofferenza e del pianto, uno stile che riprende una tradizione antica delle rappresentazioni sulla Croce, mostrando uno dei suoi diversi registri operativi, indice di eclettismo e sensibilità artistica. “Si può parlare quasi delle prime lacrime dipinte nella storia della pittura, – afferma il curatore della rassegna Alessandro Giovanardi – non lacrime trattenute come certa pittura medievale o bizantina, ma lacrime espresse, che escono”.
Laura Pilloni