Si comincia finalmente a respirare un po’ di ottimismo. L’effetto delle riaperture (benedetti vaccini) incide ovviamente in modo decisivo sulla percezione collettiva della situazione, come pure sul concreto andamento dell’economia. Anche l’Istat rileva un netto incremento dell’indice statistico che misura la fiducia delle famiglie e delle imprese.
Le previsioni sulla ripresa produttiva – confermate dai primi segnali effettivi – convergono nel prospettare un balzo persino maggiore delle aspettative e superiore a quello di altri grandi Paesi europei.
Ma è necessario tenere ben presenti alcuni elementi. Il confronto con gli altri Paesi, per esempio, è condizionato dal fatto che il nostro punto di partenza, anche pre-Covid, è molto più basso e quindi la nostra è una rincorsa, più che una corsa…
Ma al di là delle classifiche, il dato di fondo da considerare è quella che il Censis ha definito “l’eredità della pandemia”.
Nel 2020 – rileva l’istituto di ricerca – tre famiglie su dieci hanno subìto una riduzione di reddito e gli occupati sono stati 456 mila in meno del 2019, che pure presentava un quadro già problematico, mentre gli inattivi sono aumentati di 711 mila unità. E sì che il blocco dei licenziamenti (fonte Ministero del lavoro) lo scorso anno ha preservato 240 mila posti di lavoro e altri 120 mila ne ha salvati in questi primi mesi del 2021.
La scadenza del blocco a fine giugno mette a rischio almeno altri 120- 130 mila occupati (secondo altre stime 5-600 mila) e l’idea di un’ulteriore proroga di due mesi per valutare l’impatto concreto della ripresa appariva ragionevole. Com’è noto, era stata di fatto inserita nel Decreto Sostegni-bis ma prima della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale è stata rimossa dopo la levata di scudi di Confindustria. Vedremo che cosa accadrà nell’iter parlamentare di conversione del decreto e nel confronto tra le parti sociali.
La veemenza con cui gli industriali si sono scagliati contro la proroga del blocco non autorizza grandi speranze eppure varrebbe la pena tentare.
La politica, comunque, deve fare la sua parte. La ripresa economica non è un processo neutro e uniforme, né la pandemia ha colpito tutti allo stesso modo. C’è in campo una questione ineludibile e urgente di equità sociale e di riduzione delle disuguaglianze aggravate dalle conseguenze del Covid. E ci dev’essere l’impegno a orientare la crescita in modo che possa creare occupazione reale e dignitosa. Nella nostra Costituzione il lavoro non è un bene tra i tanti, ma è addirittura il fondamento della Repubblica.
E la stessa Carta, all’articolo 41, afferma che “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
Stefano De Martis