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Questi fantasmi!

La scena conclusiva dello spettacolo - PH Luigi Angelucci

Al Teatro della Fortuna di Fano presentata in prima moderna La casa disabitata del compositore marchigiano Lauro Rossi 

FANO, 24 agosto 2024 – Com’è nel destino di tanta produzione operistica in quegli anni, La casa disabitata – un gioiellino semiserio di Lauro Rossi – è andata incontro all’oblio, nonostante il successo di cui ha goduto fino dalla prima esecuzione, alla Scala nel 1834. Eseguito ora per la prima volta in epoca moderna al Teatro della Fortuna di Fano, nell’ambito del festival Il belcanto ritrovato, questo ‘melodramma giocoso in due atti’ si conferma piacevolissimo: un ingranaggio teatrale inesauribile e un’inventiva musicale che non solo tiene inevitabilmente conto della lezione rossiniana, ma guarda più avanti, applicando schemi da opera seria a meccanismi comici.

Il mezzosoprano Tamar Ugrekhelidze (Annetta) – PH Luigi Angelucci

Buona parte dei pregi della Casa disabitata spettano a un libretto, davvero notevole, di Jacopo Ferretti: autore prolifico, passato alla storia soprattutto per aver fornito i versi della Cenerentola a Rossini. Il soggetto – ricco di personaggi e diramazioni – è tratto da un lavoro di Giovanni Giraud, popolare commediografo romano attivo nello Stato Pontificio, ma in realtà rielabora uno dei più antichi archetipi teatrali: far credere che una casa sia popolata di fantasmi, per nascondere le attività illecite che si svolgono al suo interno. Non si può fare a meno di pensare, ovviamente, alla Mostellaria di Plauto; tuttavia, si tratta d’un tema che ha attraversato la letteratura di tanti paesi, al di qua come al di là dell’oceano, e continua a esercitare il suo appeal avventuroso e umoristico pure ai nostri giorni. Il libretto di Ferretti è poi un modello tanto di sceneggiatura quanto di versificazione: colpiscono sia la raffinatezza linguistica sia la padronanza dei meccanismi metateatrali, innescati dal personaggio del poeta squattrinato, Eutichio, che – niente meno – tenta di metter mano ai versi di Da Ponte scritti per il Don Giovanni, con esiti d’irresistibile comicità.
Sul versante musicale Rossi concepisce una breve ouverture che evoca la scansione percussiva della ben più ampia sinfonia della Gazza ladra (del resto in entrambi i casi si tratta di opere semiserie), utilizzando però soluzioni che ritroveremo soprattutto in Donizetti: è il caso del duetto fra Eutichio e Annetta, destinato a diventare in seguito terzetto quando – dopo già molti minuti di canto – ai due si aggiunge la moglie Sinforosa. Una partitura, dunque, complessa, più nei brani d’insieme che nelle arie, sulla quale ora ha lavorato il revisore Damiano Cerutti, partendo dalla seconda stesura dell’opera (1844), che fu ribattezzata I falsi monetari: il titolo con cui La casa disabitata conobbe la sua maggior fortuna.

Con l’ausilio dei costumi di Chiara Defant, che delineano un generico ottocento, e utilizzando pochi oggetti di scena su un fondale disegnato dagli studenti della sezione Audiovisivi e Mutimedia del Liceo Artistico Mengaroni di Pesaro, la regista Cristina Pietrantonio ha realizzato, nella massima economia di mezzi, uno spettacolo che permette al pubblico di seguire facilmente l’andamento dell’intricata vicenda.
La parte però più interessante era legata all’esecuzione musicale, a cominciare da un cast tutto di giovani che riescono a dare spessore ai propri personaggi. Entrambi innamorati della stessa donna, Don Raimondo (inconsapevole proprietario della casa) e Don Isidoro (il fabbricatore di monete false) erano interpretati dal tenore Antonio Mandrillo e dal baritono Matteo Mancini. Il primo – sempre molto sicuro e corretto – ha saputo imprimere al proprio canto toni accorati da amoroso, mentre il secondo ha sfoggiato una linea vocale più tagliente, conformemente alla mancanza di scrupoli del suo personaggio. Nei panni della volitiva e indomita Annetta ha ben figurato il mezzosoprano Tamar Ugrekhelidze, capace pure di belle risonanze contraltili. La coppia comica era invece composta dai più maturi Eutichio e Sinforosa, interpretata dagli spiritosi Giuseppe Toia e Vittoriana De Amicis, impegnati in divertenti schermaglie innescate dalla patologica gelosia di lei. Chiudevano il cast il soprano Jennifer Turri, alle prese con un ruolo secondario nella storia ma tutt’altro che defilato vocalmente, e il baritono Martin Csölley, nei panni del complice di Don Isidoro.
Sul podio dell’Orchestra Sinfonica Rossini e del Coro del Teatro della Fortuna (preparato come di consueto da Mirca Rosciani) il giovane Enrico Lombardi, sempre a suo agio con una musica di un periodo che domina con sicurezza. Ha diretto con braccio sicuro e impresso un andamento spigliato alla sua lettura: da un lato, tenendo conto della lezione rossiniana e, dall’altro, senza trascurare tutti quegli aspetti della partitura che occhieggiano ormai a un ottocento inoltrato.

Peccato solo che si sia trattato di un’esecuzione limitata a una sola serata. Per fortuna l’editrice musicale Bongiovanni ha effettuato una registrazione che presto verrà trasformata in disco.

Giulia  Vannoni