Le prime di cui è rimasta memoria storica sono la maga Tribade e due orchesse. La prima, con tre complici della stessa risma, fa morir di fame un ragazzino; l’altra è una coppia di serial killer ante litteram che uccide nel sonno e divora, uno dopo l’altro, ben diciassette viandanti. Con un incipit del genere, quanto c’è da stare allegri con le donne riminesi della storia?
Famose o pressoché sconosciute, realmente esistite o inventate come la Saraghina di Federico Fellini, a venti di queste “eroine” è dedicato La Riminese, il libro fresco di stampa di Piero Meldini, che disegna l’altra metà del cielo a partire dall’età romana fino ad arrivare alla Seconda Guerra mondiale.
Il testo (sottitolo “Venti ritratti di donne da Francesca alla Saraghina”), per la verità, non è originale: la prima versione (pubblicata da Maggioli) risale al 1986. Mantenuta pressoché intatta, e con l’aggiunta di un capitolo, non mostra però alcuna ruga, anzi mostra in maniera fresca tutta la sua attualità. Vergini o prostitute, monache o streghe, “in una storia narrata da uomini, popolata di uomini e destinata a uomini, le donne rappresentano l’eccezione e lo scandalo”.
Per lungo tempo direttore della Biblioteca Gambalunga di Rimini, saggista di lungo corso e romanziere apprezzato, Meldini cura da par suo un’antologia critica che raccoglie, spiega e commenta testi di storici togati e modesti cronisti locali, racconti di autorevoli scrittori o di oscuri letterati, manoscritti inediti, diari privati o confessioni intime. “Materiali che nessuno aveva mai guardato prima. – ne spiega la genesi Meldini, riferendosi alla sua attività di direttore della Gambalunghiana e di catalogazione di manoscritti – Avevo in testa una serie di storie del tutto ignorate. Questa antologia racconta soprattutto di personaggi sconosciuti”. La moglie dell’anarchico Domenico Francolini, ad esempio (Costanza Lettimi). Ma anche personaggi più illustri, come Isotta (il cui volto diventerà il logo della libreria Riminese), e soprattutto Francesca da Rimini: “è con lei che parla Dante – fa notare Meldini – e non con l’amante Paolo”.
La Riminese è il nuovo tassello, dopo Rimini nel cinema di Gianfranco Miro Gori, con cui la casa editrice Interno4 edizioni indaga e racconta l’identità riminese. Curiosamente l’anima di questa collana è Massimo Roccaforte, che riminese lo è “solo” d’adozione, lui originario di Milano.
Dai ritratti emerge la vivacità di Francesca Reggiani, protagonista nelle compagnie di teatro; ma anche la passione per l’attualità di Amelia, “una sorta di moderna giornalista che nel suo diario descriveva la cronaca in diretta dei bombardamenti”.
La figura di donna che emerge da queste pagine non è indagata soltanto dal punto di vista storico, ma anche antropologico e psicanalitico, e l’identità è fatta di desideri e paure (maschili) più che di pensieri e affermazioni (femminili). Sono dunque “figure archetipe, sedimentazioni storiche di pulsioni erotiche e aggressive, desideri e paure” scrive il saggista riminese. La Saraghina, la “mitica” prostituta che “buca” il film 8 e 1/2 di Fellini, ne è l’esempio più lampante.
Ma non c’è solo questa “orchessa del sesso a pagamento” (e popolante i sogni erotici del futuro premio Oscar) nell’universo femminile riminese. Merita qualcosa di più di un cenno, ad esempio, la “portolotta”, ovvero la donna del porto che “nell’Ottocento fumava la pipa, indossava abiti vistosi e guidava le sommosse per il grano” ha fatto notare Meldini in un dialogo con la giornalista Lina Colasanto. Altrettanto intrigante è la lattaia di Montesgrupone, ovvero l’opulenta e irsuta Savina che stazionava come un monumento in piazza Cavour per vendere latte.
Più di un tratto di queste figure sembra poi riportare all’arzdora romagnola, “ovvero la moglie del capoccia della famiglia contadina tradizionale, che comandava maschi e femmine”. Una arzdora che nel riminese si rimboccherà le maniche e troveremo, specie nel dopoguerra, a guidare da par suo pensioni, alberghi e ristoranti.
Lontane secoli l’una dall’altra e differenti in tutto, le venti riminesi protagoniste del volume sembrano però avere qualcosa in comune: un filo rosso che attraversa più di duemila anni di storia per giungere fino ai giorni nostri. Qual è questo fil rouge che unisce popolane, cortigiane e orchesse? “Un notevole grado di autonomia. Sono tutte personalità forti e spiccate”.