Nuova tappa per il nostro viaggio intorno al mondo alla ricerca di notizie curiose che possano interessare il territorio. Come sempre a farci da guida è Google che ci porta subito in Germania per svelarci una storia davvero curiosa
Strumento musicale o ancora di salvezza a cui aggrapparsi per sopravvivere? È con questa domanda che inizia un articolo pubblicato sul sito web della radio nazionale tedesca Deutschlandfunk (http://www.deutschlandfunk.de/die-kriegsgefangenen-orgel-von-rimini-instrument-als.1993.de.html?dram:article_id=394505), in cui viene raccontata la curiosa storia di molti soldati tedeschi, catturati e imprigionati nel campo lavoro di Bellaria, e dello strumento musicale che costruirono.
“Nel maggio 1945, erano circa 150mila i soldati tedeschi che vivevano nella prigione di guerra anglo-americana di Bellaria, spesso in condizioni difficili. In quelle condizioni di oppressione e apparentemente senza speranza, uno strumento musicale divenne il simbolo della loro volontà di sopravvivere: l’organo auto-costruito da Werner Renkewitz ”.
Renkewitz, un soldato svevo che in patria si occupava di costruire strumenti musicali, “ebbe l’idea di realizzare un organo per il campo, nelle condizioni più primitive e con i semplici mezzi a sua disposizione, con l’obiettivo di accompagnare le funzioni religiose, che quotidianamente erano permesse”.
Come raccontano le cronache dell’epoca, “il legno necessario veniva ricavato da vecchi imballaggi, da cassette della frutta, spesso anche da scarti e rifiuti”. Il risultato? Di tutto rispetto: “502 canne e 12 registri – un organo che avrebbe fatto onore ad una chiesa ben più grande di quella presente nel campo di prigionia”. Quella dell’organo costruito dai tedeschi è come avrete ormai capito, di una storia decisamente interessante. Che continua ancora oggi. Infatti, l’articolo prosegue raccontando, oltre a molti aneddoti riguardanti la costruzione del prezioso strumento musicale, anche il suo destino negli anni successivi alla liberazione dei prigionieri. L’organo venne inaugurato nel 1945, intonando una musica di Beethoven, “tra la commozione e le lacrime di quasi tutti i soldati presenti”. E poi? “Dopo lo scioglimento del campo – prosegue il racconto – Renkewitz rimase a Rimini ancora per un po’ di tempo, per proteggere lo strumento, portato temporaneamente in un magazzino sito vicino alla chiesa di Sant’Agostino. Il pericolo che finisse oltre Manica o, addirittura, oltre Oceano, era infatti molto forte”.
Alla fine, dovendo tornare in Germania, il costruttore tedesco lasciò l’organo a Rimini, “non riuscendo a portarlo con sé in Germania, per via dei costi elevatissimi che una simile operazione avrebbe comportato”.
Purtroppo non ci fu mai occasione di sentirlo all’opera perché alcuni anni dopo, nel 1963, un incendio lo bruciò. Ma non del tutto. Infatti, conclude la radio, “molte sue parti si sono conservate e sono state trovate da uno studioso, Michael Grüber, che culla il sogno di restaurarlo, o sarebbe meglio dire, ricostruirlo ex-novo: «Ho esattamente le misure dell’organo, ho l’esatta disposizione, e ho molte fotografie che lo ritraggono. Non sarebbe un grosso problema». È per questo che, attraverso un sito internet sta raccogliendo donazioni, con l’ambizioso obiettivo di sentirlo suonare nei prossimi 3 anni. «Lo costruiremo qui in Germania. E immagino che, una volta terminato, lo doneremo al Vescovo di Rimini, proprio come Werner Renkewitz volle fare allora».
Resta da vedere se questa visione potrà o meno diventare realtà. In ogni caso, l’organo dei prigionieri tedeschi, a Bellaria, resta un impressionante monumento alla pace, contro la guerra e la violenza. Proprio per questo motivo lo stesso Renkewitz già all’epoca vi aveva inciso queste parole: “Chiunque sia colui la cui mano un giorno, quando saremo ormai lontani, farà risuonare questi tasti, possa devotamente provare un pio brivido ricordando un tempo buio e noi, allora prigionieri”.
Fabio Parri