Non poteva che essere Sant’Aquilina il luogo dell’ultimo saluto. Di quella comunità don Antonio Cicchetti è stato il parroco, il pastore, il “nonno” e il “bisnonno” per oltre 60 anni. Era arrivato come cappellano il 30 settembre 1950, ma già nell’aprile 1951 aveva sostituto il parroco. Se aveva o no potuto fare molto, a il Ponte che festeggiava i suoi 60 anni di parrocchia rispondeva: “Io non mi lamento, ma su questo bisognerebbe sentire il buon Dio. Sicuramente, guardandomi attorno, vedo il campo seminato e mi auguro che tutto giunga a maturazione. Intanto stanno maturando le prime semine: quei bambini battezzati che sono diventati padri e nonni e che mi hanno portato a battezzare i loro figli e poi i nipoti”.
Scarpe grosse (quelle che gli servivano per andare a lavorare nei campi), ma cervello fine, molto fine. Ironico, soprattutto con se stesso, dalla battuta pronta, si era totalmente identificato nella sua gente. Il funerale ne è stato grande testimonianza. La chiesa troppo piccolina per contenere tutti, oltre 40 sacerdoti concelebranti con il Vescovo ed una folla di parrocchiani, ma anche semplicemente di amici, perché era davvero difficile non esserlo.
Il Vescovo lo ha “pennellato” alternando immagini della vulgata (come di quella signora che gli chiese, quand’era sul trattore, se c’era il parroco e lui le disse di attendere un attimo che lo avrebbe chiamato, per poi ripresentarsi dopo pochi minuti con la sua veste che lo rendeva così simile, e non solo nella veste, ad un altro prete dalla “tonaca lisa”) a brani di una lettera commovente, ma anche zeppa di autoironia, che don Antonio gli aveva inviato personalmente per ringraziarlo.
“Se rinasco mi faccio prete” amava ripetere sorridendo. E se gli chiedevi: come stai?, rispondeva sempre: “Bene, come un prete”.
Con la sua gente ha condiviso tutto, anche il lavoro dei campi. Sempre a il Ponte che lo interrogava se era vero che aveva fatto il contadino o se era solo un mito, rispondeva: “Lo sono stato. E quello era l’unico modo, allora, di tirare avanti la parrocchia, anche dal punto di vista economico. Ma oggi non faccio più nulla. Non tengo più neanche l’orto”. Ma all’epoca aveva già 87 anni.
Per tanto tempo aveva, anche senza laurea in diritto, vestito i panni dell’avvocato dei poveri, quando come procuratore del Patronato Acli faceva il giro degli uffici pubblici di Forlì e fino a Roma, per difendere i diritti di pensione o altro, di tanta gente.
Parlava la lingua del suo popolo quando commentava la sua amatissima Sacra Scrittura, ma anche quando scriveva commedie in dialetto, che poi dirigeva, attento ad animare la sua comunità anche sul versante culturale. “Senza dimenticare – come ha ricordato don Gianluca Agostini, originario di sant’Aquilina – i primi cineforum, fatti con uno storico proiettore super8”.
Mi sia lecito concludere con una nota personale. Lunedì 14 maggio insieme ad altri cinque sacerdoti riminesi, festeggiavo 40 anni di sacerdozio. Posso solo ringraziare il Signore per avermi permesso di farlo, nel saluto sorridente ad un prete dal cuore così grande da contenere tutti noi che eravamo in quella chiesa.
Giovanni Tonelli