Le imprese agricole della provincia di Rimini tirano la cinghia. Molto lavoro, tanta fatica e pochi guadagni. È quanto viene fuori da una panoramica del nostro territorio che sempre più arranca per rimanere a galla, ma soprattutto per non andare in “rosso”.
Avere un’impresa agricola non è cosa semplice. Per definizione, si dice tale una struttura che può contare su: un imprenditore agricolo che, secondo l’art. 2135 del Codice Civile, esercita coltivazione di fondo, selvicoltura, allevamento di animali e tutte quelle attività connesse alla vita agricola.
A leggere questo elenco, sembra di tornare indietro nel tempo – almeno trent’anni – a lavori che non ci sono più, scomparsi dai nostri occhi, pensieri e possibilità.
Pochi giovani, oggi, sembrano disposti a zappare e vangare ed investire nella terra un intero futuro. Di questi tempi gli unici a ritornare “sul campo” sono coloro che hanno preso in mano le redini di un lavoro, di famiglia, che si è tramandato da una generazione all’altra: “Il mancato cambio generazionale apporterà grosse modifiche in questo ambito e i problemi da risolvere non saranno pochi”, spiega Paola Pula direttrice della Cia (Confederazione italiana agricoltori) di Rimini.
Alcuni numeri
La Provincia di Rimini parla di circa 5000 rilevazioni agricole compresi sia i coltivatori diretti sia gli imprenditori agricoli professionali: “In questo senso bisogna fare una netta distinzione. Di questi 5000 solo un po’ più della metà sono iscritti al registro delle imprese, mentre gli altri hanno una partita Iva”.
L’ultimo censimento dell’agricoltura redatto nella nostra provincia – era il 2000 – registrava 6.498 rilevazioni agricole, già con un calo di 2.252 unità rispetto al 1990. Per il prossimo report bisognerà attendere la fine di gennaio prossimo. Al momento, a fotografare la situazione in modo preciso è il Registro delle Imprese di Rimini che conta effettivamente iscritte 3.080 imprese, tra cui 35 come società di capitale, 431 come società di persone, 2.591 come imprese individuali e 23 con altre forme.
In molti chiudono…
“Molte imprese, però stanno chiudendo perché le annate scorrono male e va sempre peggio. Vuoi per la crisi, vuoi per i prezzi di mercato sempre più bassi che azzerano il guadagno”, chiarisce la Pula.
A rafforzare questa tesi arrivano le dichiarazioni di Walter Brolli, proprietario dell’azienda vinicola Cretaia di San Martino in Venti e figlio d’arte (anche il padre era agricoltore): “Va male male, ormai da otto anni i prezzi dell’uva sono crollati. A tutto questo si aggiunge un prezzo di mercato, della bottiglia, spropositato che spinge a frenare i consumi e di conseguenza la richiesta alla fonte, cioè a noi. Una brutta situazione cui si aggiunge il prezzo basso che pagano le cantine. Faccio un esempio: dal 2000 l’uva viene venduta a 15 euro a quintale. È pazzesco! Così si fa la fame”.
Stesse note stonate le suona Cesarino Scarpellini, imprenditore agricolo di Santarcangelo di Romagna che, fin da giovane aiutò il padre nella coltivazione e nella vendita di ortaggi. “Quando presi in mano le redini e decisi d’investire ero un mezzadro, poi affittai il terreno, in ultimo lo comprai e decisi di coltivare tutti gli ortaggi. Oggi la situazione non è delle migliori: i prezzi sono bassi, la concorrenza dall’estero è incisiva e la gente non è più disposta a comprare verdura da lavorare, meglio quella già pronta nel sacchetto. Per arrotondare ogni tanto si fanno i mercatini, ma poca roba e tanta perdita di tempo”.
La produzione locale
E sono proprio gli ortaggi i protagonisti delle imprese agricole del territorio. Da soli, sviluppano 46 milioni (dati del 2009 Cia) dell’intero fatturato agricolo, ovvero il 35% della produzione locale che nella stagione estiva raggiunge il 55% (dati Caar). Inoltre arrivano 13 milioni dall’allevamento animale e 24 milioni da uova, oche e tacchini. Con la corda al collo sono i viticoltori e i produttori di cerali, colpiti, purtroppo “da annate sempre più sfavorevoli e prezzi in ribasso continuo”, sottolinea la Pula. A confermarlo non è solo la direttrice Pula ma anche Emilio Podeschi dell’azienda Il Giuggiolo: “Ormai con vino e grano non si fa più nulla. L’azienda è andata in crisi. Io ho provato ad utilizzare la mia azienda in modo diverso, facendola diventare fattoria didattica (vedi box a fianco)”.
Proprio lui che all’età di nove anni venne giù da San Leo per fare l’agricoltore e avere un’azienda tutta sua è il primo disilluso del gruppo. Come lui, 26 anni fa, per passione decise di trasferirsi a Rimini, zona Santa Cristina, per fondare l’omonima azienda, Giovanni Tiberio: “La crisi c’è ma è di tipo strutturale, proprio legata al settore dell’agricoltura. Noi ci occupiamo di vigne, ulivi e frutteti per un totale di 25 ettari e il lavoro per il momento non ci manca”.
Per monitorare al meglio quello che si muove in questa realtà sconosciuta, la Provincia sta redigendo un censimento agricolo che presto darà i suoi numeri. Ovviamente sarà cura dell’ente di Corso d’Augusto considerare anche l’inserimento dei sette comuni dell’AltaValmarecchia, “che conta circa 800 aziende suddivise tra allevamento, agricoltura e altre attività connesse”, afferma Walter Bezzi presidente Cia.
Marzia Caserio