Dall’invaso del ponte di Tiberio l’umidità di una sera novembrina si condensa in foschia e, grazie alle illuminazioni sotto il ponte, si crea un suggestivo effetto nebbiografico. “Sembra quei film di Fellini”, dice una voce a passeggio dietro di me con accento indigeno. Meraviglioso condensato di quello che è l’ormai notoriamente sgangherato rapporto dei riminesi con l’illustre concittadino. Vorremmo far vedere che ci teniamo ma proprio non ce la facciamo. “Quei film” in realtà è una scena di un film, Amarcord. Poi Fellini ha usato magistralmente paesaggi autunnali inaltre pellicole, si pensi alla spiaggia desolata dei Vitelloni, ma la nebbia felliniana la si ricorda per la scena del vecchietto che si è perso. Che è talmente abusata da essere ormai svalutata nel suo valore poetico: ogni volta che c’è la nebbia a Rimini è felliniana, non esiste più una nebbia normale. Per non parlare dell’altrettanto abusato ‘atmosfere felliniane’, che vuol dire tutto e niente perché in un’opera ampia e complessa come la sua di atmosfere ce ne sono tante e tante. Ma noi riminesi, si sa, di Fellini conosciamo Amarcord e poco altro, e su quello basiamo la nostra cultura felliniana. Gradisca, tabaccaia, nevone, Fulgor, suorina. Quindi quello che c’è in quel film diventa automaticamente quello che c’è nel cinema felliniano. Non c’è magari malafede, non tutta la cinematografia di Fellini è facile da digerire. Però ormai per noi è una partita persa anche se per Fellini ci abbiamo costruito un enorme museo. Ma forse è meglio contare sui turisti.